DEMETRIO STRATOS, FILM AL MIELA
"Da Pugni chiusi agli Area, alla ricerca vocale estrema”. È il sottotitolo del film-documentario ”La voce Stratos”, di Luciano D’Onofrio e Monica Affatato, che viene presentato domani sera al Teatro Miela. Ma è anche la sintesi di un percorso artistico breve ma intensissimo.
Sono passati trent’anni da quel 13 giugno del ’79, data della morte di Demetrio Stratos, cantante e leader negli anni Sessanta dei Ribelli e nei Settanta degli Area, e poi massimo sperimentatore dell’umana vocalità.
Nato nel ’45 ad Alessandria d’Egitto da genitori greci, Stratos giunge giovanissimo nella Milano degli anni Sessanta, dove con i Ribelli fa parte del Clan di Celentano. Fra tante cover di brani stranieri, ”Pugni chiusi” è il maggior successo di quella breve stagione. Segue l’esperienza con gli Area, punta di diamante di una ricerca musicale che rifugge gli schemi precostituiti mischiando rock, jazz, avanguardia, improvvisazione, musica etnica. Con un approccio fortemente politicizzato, come dimostrano nel ’73 l’album d’esordio ”Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi, scritta che campeggiava all’ingresso dei lager nazisti) e poi lavori come ”Caution Radiaton Area”, ”Crac!”, ”Are(a)zione”, ”Maledetti”, ”1978: gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano”...
Gli Area vanno verso la musica totale, Demetrio intraprende la difficile strada del ricercatore solitario, che lo porta a collaborare con John Cage ed esplorare i territori dell’avanguardia pura. Album solisti come ”Metrodora”, ”Cantare la voce” e ”Le milleuna” documentano un lavoro di sperimentazione vocale che sfiora i limiti dell’umano, basti pensare che la sua voce varca la soglia ”impossibile” dei settemila hertz. Studiando e perfezionando una tecnica vocale originaria dei pastori mongoli, riesce a emettere le cosiddette diplofonie e triplofonie, cioè due o tre suoni vocali di frequenza diversa, simultaneamente.
Ma intanto l’uomo sta lottando la battaglia più difficile: contro una rarissima forma di leucemia al midollo spinale che in pochi mesi ne spegne la forte fibra. Quando muore a New York, dove si era recato nell’ultima speranza di guarigione, Demetrio aveva solo trentaquattro anni. Ma aveva già scritto il proprio nome nella storia della musica del Novecento.
Il documentario che viene presentato domani a Trieste (alle 18.30 e alle 21, alle 20.30 introduzione di Gino D’Eliso e incontro con i registi), a cura di Bonawentura, Cappella Underground e Filmakers, narra il suo percorso biografico e artistico, riesumando vecchi filmati e intervistando amici e colleghi musicisti (fra gli altri: Mauro Pagani, Claudio Rocchi, Nanni Balestrini, Patrick Djivas...), ma indaga anche su tematiche inerenti voce umana e linguaggi diversi.
«La mia scommessa consiste nel mettere in comunicazione mondi che solo in apparenza sono lontani», ci aveva detto dopo un concerto con gli Area, nel ’77, a Trieste. Come dire: Demetrio Stratos era avanti di almeno un paio di decenni. Anche per questo lo ricordiamo. E ci manca.
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