mercoledì 4 novembre 2009

THRILLER LIVE AL ROSSETTI


Politeama Rossetti? Macchè. Da ieri e fino a domenica, il teatro triestino somiglia al Lyric Theatre di Londra. E ciò grazie a ”Thriller Live”, lo spettacolo che Adrian Grant (presente ieri sera in platea) aveva immaginato per celebrare in vita la carriera e i successi di Michael Jackson, ma che dopo la morte di quest’ultimo, nel giugno scorso, si è trasformato comunque in qualcosa di diverso.

La struttura dello show è rimasta praticamente immutata. Una sorta di grande jukebox, forse senz’anima, con dentro tutta la storia e quasi tutti i successi del nostro, dagli esordi ragazzino con i fratelli nei Jackson 5 fino alla consacrazione. Perchè la forza dello spettacolo sta nella musica, in queste canzoni - soprattutto degli anni Ottanta - già trasformate in classici della musica popolare: <CF>”I want you back” e ”I’ll be there”, ”Show you the way to go” e ”Can you feel it”, ”Rock with you” e ”She’s out of my life”, ”Beat it” e ”Billie Jean”, ”Earth song” e ”Man in the mirror”. E ovviamente ”Thriller”.

La scomparsa del Re del pop ha prodotto due conseguenze per lo spettacolo. La prima: gli autori hanno modificato l’inizio. Una sorta di preghiera laica in apertura, col brano ”Gone too soon” (qualcosa come ”andato via troppo presto”), che stava nell’album ”Dangerous”, del ’91, ed era dedicato a Ryan White, un giovane stroncato dall'Aids, che aveva conosciuto Michael prima di morire. Jackson eseguì questa canzone al gala per la prima elezione di Bill Clinton, nel gennaio ’93, quando sottolineò l'importanza di sostenere la ricerca contro quel male.

La seconda conseguenza non si vede in scena ma forse è più importante. Quello nato come un ”music show” che, dopo l’esordio nel 2006 al Dominion Theatre di Londra e i tre tour di successo in Inghilterra, doveva restare in scena solo per qualche mese nel West End londinese, ora è uno spettacolo rappresentato contemporaneamente da tre compagnie: la prima è tuttora in scena al Lyric Theatre, la seconda è quella arrivata a Trieste per il tour italiano (che proseguirà a Roma, Bologna e Milano), la terza è stata messa su in fretta e furia per accogliere le tante richieste piovute addosso agli organizzatori. Insomma, oltre che una macchina da soldi, un vero e proprio cult-show del quale oggi nessuno può prevedere la longevità.

In scena, sdoppiata da una balconata con due scalinate laterali, una rutilante giostra di luci e di effetti multimediali è la scatola magica nella quale un cast di cantanti e ballerini mette in scena la leggenda di ”Jacko”.

Si comincia, come si diceva, da Michael ragazzino (interpretato ieri sera dal determinatissimo quattordicenne Jeremiah Whitfield, ”from Los Angeles”, che si alternerà nei prossimi giorni con Jordan D. Bratton) con i fratelli nei Jackson 5 degli esordi. Capigliature afro, pantaloni a zampa d’elefante, ritmi soul. Erano gli anni della Motown, del padre-padrone che aveva capito subito le potenzialità del piccolino, e lo menava senza pietà se non si esercitava a sufficienza. Michael aveva soltanto cinque anni, nel ’63, quando debuttò con i fratelli al mitico Apollo Theatre, la mecca della musica nera.

Musica nera da cui ”Jacko” prese le mosse ma che volle e seppe trasformare in qualcosa di diverso. Lui, primo artista di colore a diventare una star mondiale, per i bianchi e per i neri, mischiando i suoni e le radici della sua razza con le suggestioni del pop e del rock.

”Thriller Live”, a passo di moonwalking, ripercorre la strabiliante carriera seguita a quegli esordi bambini. Il primo album da solista, ”Off the wall”, del ’79. Michael ha quasi vent’anni, sua maestà Quincy Jones non si limita a produrre l’album: lo conduce quasi per mano nei meandri di una dance venata di rock destinata ad aprirgli le porte del successo mondiale e trasformarlo in leggenda.

Che diventa tale proprio con l’album ”Thriller”, uscito nell’82, sempre siglato Quincy Jones: l’album dei record, della sintesi quasi perfetta fra pop e musica nera, di successi come ”Billy Jean” e Beat it”, ma anche di quel cortometraggio girato nell’83 da John Landis, con la trasformazione di Michael in zombie, che è tuttora considerato il miglior video musicale di sempre.

Poi le canzoni di ”Bad” e di ”Dangerous”, album rispettivamente dell’87 e del ’91, e poi ancora le cose più recenti, che non sono le migliori della sua carriera. Lo spettacolo, una canzone e una coreografia dietro l’altra, racconta tutta questa storia artistica. Tace ovviamente del momento del declino, che Jackson voleva arrestare proprio con il ritorno in scena a Londra nel luglio scorso.

Quei concerti l’artista non ha fatto in tempo a tenerli. Ma, come spesso accade in questi casi, la sua morte ha fatto di più, aggiungendo l’ultimo definitivo tassello alla sua trasformazione in mito. Un mito che resisterà agli anni e ai decenni, e che viene celebrato anche da questo show.

Al Rossetti, primo tempo deboluccio, con l’ombra di Michael che sembra gravare su tutto. Poi, nella seconda parte, grazie ai pezzi da novanta del repertorio e alla bravura dei protagonisti, lo show decolla. Alla fine, entusiasmo autentico e applausi per tutti. Per i cinque cantanti (fra cui anche una donna: la brava Hayley Evetts), per i dieci ballerini che tengono la scena con consumata professionalità, per i musicisti che suonano nascosti dietro uno schermo. Ma l’applauso più sentito forse è per lui, per Michael Jackson, l’eterno Peter Pan del pop, vero protagonista di uno show che ne celebra la grandezza senza tempo.

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