martedì 29 ottobre 2013

LA MORTE DI LOU REED

È morto Lou Reed. Aveva 71 anni, essendo nato a Brooklyn, New York, il 2 marzo 1942. Senza tema di smentite, è stato uno dei personaggi più importanti della storia del rock, che ha attraversato da protagonista di primissimo piano dagli anni Sessanta degli esordi fino a oggi. Dai Velvet Underground agli ultimi lavori solisti, Lewis Allan Reed (questo il suo vero nome, famiglia di origine ebraica) ha segnato quasi mezzo secolo di musica popolare contemporanea con una forza e un’originalità ineguagliabili. È stato al tempo stesso “poeta maledetto” dei bassifondi newyorkesi e sperimentatore sempre attratto dall’avanguardia, rocker elettrico e delicato “song writer”. Ha cambiato mille volte faccia, abiti e suoni, ma alla fin fine è rimasto sempre se stesso: genio iconoclasta e curioso del nuovo. Una storia, la sua, con un brutto prologo: da ragazzo, la passione per il rock ma soprattutto gli orientamenti sessuali non ortodossi per la morale americana dell’epoca spingono i suoi genitori a sottoporlo a cure psichiatriche, con tanto di elettroshock. Ovviamente un trauma difficile da superare, che molti anni dopo, nel ’74, ispirerà il brano “Kill your sons”. Prova con gli studi di letteratura, cinema e giornalismo alla Syracuse University. Ma la sua storia comincia musicalmente - dopo alcune esperienze non fondamentali, fra cui il gruppo The Shades e il singolo “The ostrich” - nel ’66, anno di nascita dei Velvet Underground, band dell’avanguardia artistica prim’ancora che musicale, che si fa strada sullo sfondo di una New York molto lontana dalle utopie hippie e “flower power” che andavano per la maggiore, negli stessi anni, sull’altra costa degli States, nell’assolata California. La Grande Mela celava realtà meno superficiali, tentazioni un tantino perverse, segreti forse scomodi, verità di certo più problematiche. Un panorama che produsse come sua massima manifestazione un genio indiscusso come Andy Warhol. E fu proprio il padre della “pop art” a notare quella band di belle speranze, producendone personalmente il primo album: “The Velvet Underground & Nico”. Un disco noto anche come il “Banana Album” per la celebre copertina disegnata dallo stesso Warhol, raffigurante una banana molto fallica che si poteva anche sbucciare rivelando sotto un’identica banana ma di color rosa. Quel lavoro divenne il manifesto del rifiuto della società dei consumi, la quintessenza della perversione applicata a un rock che - negli anni dei Beatles, dei Rolling Stones, di Bob Dylan - vestiva abiti e suoni estremi, alternativi e per certi versi minimalisti. Anticipando di una decina d’anni il movimento punk. Lou Reed e i suoi (fra cui il grande John Cale, cofondatore della band, oltre alla tedesca Nico) debuttarono dal vivo con l’Exploding Plastic Inevitable, sorta di happening multimediale itinerante, organizzato sempre da Warhol, che fu il primo a riconoscere il grande potenziale rock della band. Di più: il primo a trattare il rock come arte. E nella sua “Factory” anche Lou, Nico e gli altri della band trovarono l’habitat ideale per crescere. Il mondo della strada, dei sottofondi newyorkesi diventa lo scenario dei primi brani dei Velvet Underground. Fra eroina e spacciatori, prostitute e trans e perversioni sessuali. Nel ’67 Nico lascia, Reed di stacca da Warhol, i Velvet incidono “White Light/White Heat”. Nel ’68 finisce anche il feeling con John Cale ed esce un album intitolato semplicemente “The Velvet Underground”. Nel ’70 Lou Reed decide di proseguire da solo. Dall’Inghilterra arrivano il glam rock, l’ambiguità androgina, gli eccessi decadenti di un movimento che influenza molto il nostro. Che di colpo si trasforma in una specie di “fantasma del rock”, con tuta nera, trucco pesante, unghie laccate. L’incontro nel ’72 con David Bowie fa il resto. E produce l’album “Transformer”, suo primo grande successo solista. Nel disco, prodotto dallo stesso Bowie, “Vicious” apre le danze con un riff rimasto immortale, ”Perfect day” è un piccolo capolavoro di poesia rock urbana, “Satellite of love” appena esce diventa un classico, “Walk on the wild side” (molte versioni nel mondo, fra cui quella italiana di Patty Pravo) passa direttamente alla storia musicale degli anni Settanta. L’artista newyorkese diventa il poeta maledetto del rock, la sua vita sregolata e segnata dall’uso di droghe e alcol ne fanno un “cattivo maestro” per generazioni di ragazze e ragazzi che comunque pendono dalle corde della sua chitarra, da quella sua voce solo apparentemente apatica e monocorde. Come solista ha pubblicato dischi fino al 2007, ma l’ultima raccolta, “The essential Lou Reed”, risale a due anni fa. Dopo due matrimoni finiti, dal 2008 era sposato con Laurie Anderson, anch’ella artista e musicista d’avanguardia. A maggio aveva subito il trapianto del fegato. Lo ricordiamo anche per alcuni concerti nella nostra zona: nel luglio ’93 a Villa Manin, con i Velvet Underground ricostituiti in occasione di quel tour mondiale; nel luglio ’96 al Castello di Udine, con una sua band dell’epoca; nell’agosto 2000 nella vicina Lubiana.

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