sabato 5 ottobre 2013

OMAR SOSA ven a Trieste, barcolana festival

«Cuba? Oggi è un paese sui generis: non più comunista, non ancora capitalista. Ma il suo popolo sta cercando la sua strada. La troverà, perchè la sua gente ha grande forza e grandi risorse...». Parla Omar Sosa, fra i massimi esponenti del “latin jazz”, che suonerà al Barcolana Festival, in piazza Unità, venerdì 11 ottobre. Al telefono da Buhl (città tedesca al confine con la Francia, a pochi chilometri da Strasburgo), dove ieri sera ha suonato a un festival jazz, il pianista e compositore cubano, classe ’65, alternando spagnolo e inglese, prima di tutto si informa sul capoluogo giuliano, di cui ha sentito parlare ma non conosce. E quando gli diciamo che suonerà in una grande piazza aperta sul mare, ha un moto quasi di entusiasmo... «Dell’Italia - dice - conosco Roma e Milano, ma anche la Toscana, la Puglia, la Sardegna. Luoghi meravigliosi, alcuni dei quali mi ricordano la mia Cuba». Dove lei ha cominciato a suonare da bambino. «Sì, avevo quattro anni quando ho cominciato a suonare le percussioni. Poi mi piacevano la marimba, lo xilofono, il vibrafono. Dunque melodia, oltre che ritmo. Il passaggio al pianoforte è stato dunque naturale». Come ha scoperto il jazz? «Quand’ero piccolo a Cuba c’era una grande cultura musicale. Anche l’educazione musicale non era mai trascurata. Il jazz si è sempre ascoltato, soprattutto quello tradizionale, delle big band americane. Eredità degli anni Quaranta e Cinquanta, prima che gli statunitensi venissero mandati via...». Come mai nel ’93 è andato a vivere in Ecuador? «Per lavoro. Ma fu proprio lì, a Quito, un paesino sulla costa occidentale, che trovai un’espressione musicale folklorica originale, molto legata alle radici africane. Per me è stata una scoperta molto importante». Perchè? «Fu lì, ascoltando quei suoni, quei racconti, che cominciai a concepire una musica sincretica, capace cioè di tenere assieme le tradizioni ma anche tutte le espressioni culturali e musicali della diaspora africana». L’Europa cosa ha aggiunto? «L’Europa è per me il simbolo della multiculturalità. A Roma, a Parigi incontri africani, arabi, americani, latini. L’Europa mi ha dato la possibilità di convivere con tante culture diverse, e ciò vale anche per la musica. Anche per questo io amo questo grande continente». Lei dove vive attualmente? «Mi divido fra Barcellona, dove vivono la mia famiglia, i miei figli, e la California. Luoghi splendidi, anche se è un po’ complicato e faticoso tenerli assieme...». Com’è nato il suo progetto “Eggun”? «Al Barcelona Jazz Festival del 2009 mi chiesero di scrivere un tributo al classico di Miles Davis “Kind of blue” per il suo cinquantesimo anniversario. All’inizio dissi di no. Poi mi lasciai convinvere. E nacque qualcosa, credo, di speciale. L’album è uscito quest’anno». Meglio Miles o Thelonius Monk? «Miles è stato un grandissimo, ma il mio vero maestro, il mio eroe è stato senz’altro Thelonius. Con il suo linguaggio personale e originalissimo mi ha fatto scoprire le grandi potenzialità della musica. Un vero rivoluzionario». Qual era la musica italiana per lei, da ragazzino? «Soprattutto Verdi, l’opera, Rigoletto. In anni più recenti ho avuto il piacere di lavorare con Paolo Fresu, con Stefano Bollani: un vero “loco” (matto in senso buono, ndr), mi piace molto. Come mi piacciono anche Zucchero e Pino Daniele». Dopo Trieste, Omar Sosa suonerà il 21 a Verona, il 23 a Torino e il 25 a Bologna.

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