sabato 12 ottobre 2013

MALIKA AYANE chiude stasera a Trieste il Barcolana Festival

«Il tour è finito un mese fa. Ma quando ho saputo che c’era la possibilità di venire a Trieste, nella splendida piazza Unità, vicino al mare e allo spettacolo delle vele, ho insistito perchè la cosa si realizzasse. Per me sarà una data speciale, una festa a conclusione dell’anno straordinario che ho passato. Prima di partire per le vacanze...». Malika Ayane conclude stasera alle 21 il Barcolana Festival. Ma ieri pomeriggio era ancora nella sua casa di Milano, mezza influenzata, a imbottirsi di aspirine per poter essere oggi a Trieste. “Ricreazione”: un disco e un tour. Cosa hanno significato per lei? «Soprattutto l’album mi ha aggiunto un senso di responsabilità. Mi ha fatto capire di essere passata dalla giovinezza all’età adulta. Dicono che il disco difficile sia il secondo. Per me è stato questo, il terzo. Ho scelto di farlo seguendo solo i miei gusti, le mie ispirazioni. Mi sono assunta dei rischi nella scelta di non seguire un filone commerciale. Ed è andata bene. Il tour è stata una bella conseguenza». Sanremo? «Fondamentale per farmi conoscere al grande pubblico. In tv per la musica esistono solo i talent show. Le altre possibilità sono rare. E il festival è ancora uno spazio speciale. Se ci torno a febbraio? No, lì devi andarci quando hai il pezzo giusto. Come le volte che vi ho partecipato». Le voci bianche della Scala. Se le ricorda? «Come potrei dimenticarle, è cominciato tutto lì. Ho fatto parte del coro dagli undici ai diciotto anni, poi la mia voce è cambiata, io stessa sono cresciuta. Ma quell’esperienza è stata fondamentale, mi ha formato, mi ha insegnato cosa significa la disciplina, cantare quattro ore al giorno, quelle cose lì». L’incontro con la Caselli? «La svolta della mia vita artistica. Avevo collaborato ad alcuni spot pubblicitari come assistente di Ferdinando Arnò, che poi mi ha prodotto il primo disco. Ricordo in particolare il brano “Soul weaver”, che poi nel disco divenne “Sospesa”, per una pubblicità della Saab...». D’accordo, ma l’ex Casco d’oro? «Le portai queste cose che avevo fatto, lei mi mise subito sotto contratto. E l’anno dopo - era il 2008, appena cinque anni fa, ma mi sembra sia passato molto più tempo - uscì il primo album. Di Caterina mi hanno colpito il fiuto, la sensibilità, la lungimiranza...». Cosa le ha insegnato? «Che non basta avere una grande voce, non basta cantare bene. L’importante sono i progetti che hai, il mondo che riesci a costruire attorno a te partendo dalla voce, da una canzone». Nata a Milano nell’84, madre italiana e padre marocchino. «Alcuni credono che sia stato mio padre a venire in Italia e conoscere qui mia madre. È stato invece l’opposto. Mia madre all’epoca era una grande viaggiatrice, ha conosciuto mio padre in Marocco. Poi sono venuti in Italia». La musica nordafricana? «Fa parte della mia memoria, dei ricordi delle mie vacanze da bambina, a casa della nonna. Ogni ricordo ha una componente uditiva». Il dramma dei migranti? «Fatti per me dolorosissimi. Sono arrabbiata con la razza umana. Lampedusa dimostra che il mondo globalizzato, dove ogni luogo e ogni cosa sembrano a portata di mano, in realtà non distribuisce le risorse a beneficio di tutti». Diceva che ora va in vacanza. Dove? «Nord Europa. Al freddo. Voglio elaborare quel che mi è capitato quest’anno. Per poter ripartire».

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