domenica 13 dicembre 2015

GRISHAM, L'AVVOCATO CANAGLIA

Dopo trenta romanzi (da “Il momento di uccidere” dell’89 a “I segreti di Gray Mountain” dell’anno scorso) venduti in oltre sessanta milioni di copie, John Grisham cambia registro. Con “L’avvocato canaglia” (Mondadori, pagg. 676, euro 22) il sessantenne scrittore dell’Arkansas, colui che la rivista statunitense Publishers Weekly definì “lo scrittore maggiormente venduto degli anni novanta”, mette da parte la formula del “legal thriller” di cui è maestro riconosciuto (ma ha scritto anche una mezza dozzina di romanzi per ragazzi) per virare verso una vicenda che ruota attorno a un avvocato diverso da quelli ai quali ci aveva abituato, e via via diventa un deciso attacco all’attuale sistema giudiziario americano. Quello capace di tenere per anni un innocente nel braccio della morte, quello dove polizia e pubblici ministeri spesso “collaborano” alla costruzione di prove fasulle pur di inchiodare un colpevole predestinato che magari colpevole non è, quello in cui la giustizia non sempre trionfa. Ma vediamolo, questo Sebastian Rudd, “avvocato canaglia” che non possiede uno studio vero e proprio. Riceve a bordo di un grande furgone nero blindato dotato di vari comfort e un buon equipaggiamento di armi (siamo pur sempre negli Stati Uniti...). Dorme in motel a buon mercato. Non ha soci, lo aiuta quello che lui chiama Partner, autista, guardia del corpo e confidente ovviamente armato. L’ex moglie lo ha lasciato per una lei e non gli permette di vedere il figlio piccolo quanto vorrebbe. Sebastian fa il lavoro sporco: difende i peggiori criminali, i casi disperati, quelli che nessun avvocato vorrebbe mai avvicinare. È animato da un ideale: ritiene che ognuno abbia diritto a un processo equo, odia le ingiustizie e i poteri forti, gode se riesce a sbeffeggiare le istituzioni. Per farlo, mette in gioco se stesso, a costo di diventare lui stesso il bersaglio dei suoi assistiti e di essere costretto a usare metodi poco ortodossi. Rudd si presenta così: «Anche se sono un noto avvocato di strada, non vedrete mai il mio nome strillarvi in faccia dalle pagine gialle, né lo vedrete sui cartelloni pubblicitari o sulle panchine alle fermate degli autobus. Non pago per andare in televisione, anche se ci finisco spesso. Non compaio sull’elenco telefonico. Non ho uno studio tradizionale. Vado in giro con una pistola, legalmente, perché il mio nome e la mia faccia tendono ad attirare l’attenzione del tipo di gente che a sua volt se ne va in giro con una pistola e non ha problemi a usarla. Vivo solo, di solito dormo da solo e non ho né la pazienza né la comprensione necessarie per coltivare delle amicizie. La mia vita è la legge, sempre appassionante e ogni tanto appagante». Al centro del romanzo, a differenza dei tanti libri precedenti, non c’è una sola storia. Ma c’è Rudd, la sua vita, i casi giudiziari che gli capitano. Si procede per racconti che sembrano storie indipendenti, unite soltanto dal fatto che vengono trattate dal nostro “avvocato canaglia”. Solo nel finale, alcuni elementi dei capitoli precedenti ritornano e diventano essenziali per la conclusione del romanzo. Al solito, di quelli che non molli facilmente prima della parola fine.

Nessun commento:

Posta un commento