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sabato 2 gennaio 2016
ADDIO A NATALIE COLE
È morta in un ospedale di Los Angeles la cantante Natalie Cole. Aveva sessantacinque anni e un passato difficile fatto anche di dipendenza dalla droga. Ed era la figlia del grande Nat King Cole.
Proprio il suo album “Unforgettable... with love”, nel quale reinterpretava i classici del padre, “duettando” virtualmente con lui, era stato nel ’91 il suo più grande successo, vendendo oltre quattordici milioni di copie e facendole vincere sei Grammy Awards, fra cui miglior album e miglior canzone. Fra i brani, oltre a quello del titolo: “That sunday that summer”, “Too young”, “Mona Lisa”...
Un disco che era un commosso tributo, passato alla storia per i “duetti virtuali” con il padre. La cantante lo aveva infatti inciso affiancando la propria voce a quella del grande Nat, presa da una registrazione di venticinque anni prima. Quel padre così ingombrante, protagonista assoluto della scena musicale americana degli anni Cinquanta e Sessanta, morto di cancro nel ’65, quando lei aveva appena quindici anni, aveva segnato la sua vita e la sua carriera.
A sei anni canta con lui in un album di canzoni di Natale. Si narra che alle prime audizioni, undicenne, l’aveva accompagnata il papà. Che però non aveva fatto in tempo ad affiancarla, se non nel ricordo e negli insegnamenti lasciati in una sorta di eredità musicale e professionale.
Il grande Nat è passato alla storia per il suo stile a cavallo tra pop e jazz. Natalie, con la sua voce delicata, aveva cominciato con il rhythm’n’blues, spostandosi poi sui territori più facili del pop ma mantenendo sempre un legame saldo con gli standard del jazz che avevano reso celebre il padre.
Ma Natalie la musica l’aveva nel sangue anche da parte di madre. Maria Ellington Cole faceva infatti la cantante nelle “big band” di Duke Ellington, del quale non era però parente. Cresciuta a Los Angeles, nel sobborgo di Hancock Park dove il padre, primo artista nero a condurre uno show sulla tv nazionale, aveva scelto di stabilirsi nel ’48 nonostante le contestazioni di vicini bianchi che non volevano neri nel quartiere. Primo successo nel ’75, con l’album “This will be (An everlasting love)”: primi due Grammy come miglior nuova artista e miglior performance femminile di rhythm’n’blues.
Nella sua autobiografia “Angel on my shoulder”, raccontò nel 2000 come aveva vinto la sua battaglia contro la dipendenza dalle droghe e dall’alcol. Nell’83 trascorse sei mesi in una clinica per disintossicarsi, ma molti anni dopo, nel 2008, annunciò di aver avuto una diagnosi di epatite C, che rese poi necessario il trapianto dei reni.
Ma l’artista fu capace di risollevarsi. Alla fine degli anni Ottanta con È morta in un ospedale di Los Angeles la cantante Natalie Cole. Aveva sessantacinque anni e un passato difficile fatto anche di dipendenza dalla droga. Ed era la figlia del grande Nat King Cole.
Proprio il suo album “Unforgettable... with love”, nel quale reinterpretava i classici del padre, “duettando” virtualmente con lui, era stato nel ’91 il suo più grande successo, vendendo oltre quattordici milioni di copie e facendole vincere sei Grammy Awards, fra cui miglior album e miglior canzone. Fra i brani, oltre a quello del titolo: “That sunday that summer”, “Too young”, “Mona Lisa”...
Un disco che era un commosso tributo, passato alla storia per i “duetti virtuali” con il padre. La cantante lo aveva infatti inciso affiancando la propria voce a quella del grande Nat, presa da una registrazione di venticinque anni prima. Quel padre così ingombrante, protagonista assoluto della scena musicale americana degli anni Cinquanta e Sessanta, morto di cancro nel ’65, quando lei aveva appena quindici anni, aveva segnato la sua vita e la sua carriera.
A sei anni canta con lui in un album di canzoni di Natale. Si narra che alle prime audizioni, undicenne, l’aveva accompagnata il papà. Che però non aveva fatto in tempo ad affiancarla, se non nel ricordo e negli insegnamenti lasciati in una sorta di eredità musicale e professionale.
Il grande Nat è passato alla storia per il suo stile a cavallo tra pop e jazz. Natalie, con la sua voce delicata, aveva cominciato con il rhythm’n’blues, spostandosi poi sui territori più facili del pop ma mantenendo sempre un legame saldo con gli standard del jazz che avevano reso celebre il padre.
Ma Natalie la musica l’aveva nel sangue anche da parte di madre. Maria Ellington Cole faceva infatti la cantante nelle “big band” di Duke Ellington, del quale non era però parente. Cresciuta a Los Angeles, nel sobborgo di Hancock Park dove il padre, primo artista nero a condurre uno show sulla tv nazionale, aveva scelto di stabilirsi nel ’48 nonostante le contestazioni di vicini bianchi che non volevano neri nel quartiere. Primo successo nel ’75, con l’album “This will be (An everlasting love)”: primi due Grammy come miglior nuova artista e miglior performance femminile di rhythm’n’blues.
Nella sua autobiografia “Angel on my shoulder”, raccontò nel 2000 come aveva vinto la sua battaglia contro la dipendenza dalle droghe e dall’alcol. Nell’83 trascorse sei mesi in una clinica per disintossicarsi, ma molti anni dopo, nel 2008, annunciò di aver avuto una diagnosi di epatite C, che rese poi necessario il trapianto dei reni.
Ma l’artista fu capace di risollevarsi. Alla fine degli anni Ottanta con una cover di “Pink Cadillac” di Bruce Springsteen e i singoli “Jump start my heart” e “I live for your love”. Altri dischi, altri tour, tantissimi concerti magari accompagnata da una grande orchestra. E anche esperienze televisive, proprio come il padre, comparendo fra l’altro nelle serie “Touched by an Angel” e “Grey's Anatomy”.
«Natalie ha combattuto una fiera e coraggiosa battaglia, morendo così come era vissuta: con dignità, forza e onore. La nostra madre e sorella resterà “indimenticabile” (“unforgettable”...) nei nostri cuori», hanno scritto in una nota il figlio Robert Yancy e le sorelle Timolin e Casey Cole. «Natalie Cole, amata sorella di sostanza e suono. Che la sua anima riposi in pace», ha twittato il leader nero Jesse Jackson.
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