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sabato 11 marzo 2017
INTERVISTA MARIO BIONDI (19-3 Udine, 20-3 Trieste)
È appena tornato da un tour in Gran Bretagna, il tempo di ricaricare le batterie per alcuni giorni nella grande casa fra Parma e Reggio Emilia (l’ottavo figlio, Milo, ha sette mesi...), che è partita la tournèe italiana. Domenica 19 marzo farà tappa al Nuovo di Udine, lunedì 20 al Rossetti di Trieste. Lui è Mario Biondi, all’anagrafe Mario Ranno, catanese, classe 1971, forse il più internazionale degli artisti italiani. È appena uscito l’album “Best of soul”, con cui festeggia i dieci anni dal celebre disco d’esordio “Handful of soul”.
Biondi, sono passati dieci anni. Ci pensa?
«Certo che ci penso. E non mi sembra vero. È successo tutto così in fretta. Ancora non me ne rendo conto. Anche se la mia storia musicale è cominciata molto tempo prima di quell’esordio discografico».
All’estero l’hanno amata quasi prima che in patria.
«I miei amici inglesi mi chiamano “scheggia impazzita”: quello che fa di testa sua, quello non governato da una casa discografica o da un manager. Forse ho sfruttato il fascino esotico dell'italiano che canta in inglese. Diciamo che all’estero creo curiosità. Io mi sento sempre un outsider, quasi un apolide».
Il tour in Gran Bretagna?
«Molto bene. In Scozia ho avuto un’ottima accoglienza, a Londra abbiamo suonato in una chiesa gotica, c’era un pubblico attento, formato solo in piccola parte da italiani. Ormai non mi accorgo nemmeno più della differenza fra i concerti in Italia e all’estero».
Ha sentito aria di Brexit?
«No, anche perchè il pubblico della musica è molto “europeo”. Io chiacchiero fra un brano e l’altro. Ma anche fuori dal palco ho notato che il discorso della Brexit viene glissato da tutti, la verità è che molti non hanno apprezzato la scelta. E poi la musica unisce per definizione: canzone e cantante sono come un virus».
Il nuovo album?
«È una raccolta doppia con i successi di questi dieci anni, ma ci sono anche sette brani nuovi, tra cui il primo singolo estratto, “Do you feel like I feel”. Mi sembrava giusto ricordare i capitoli più importanti, ma anche offrire al pubblico qualcosa di più».
Dopo questo tour farà punto e a capo?
«In un certo senso. Ho tanti progetti. Sto cominciando a pensare al mio nuovo album di inediti, che conto di pubblicare l’anno prossimo. Ma sto anche lavorando a delle produzioni molto interessanti».
Per esempio?
«Ho collaborato al nuovo album di Marcella Bella, un’artista di razza, purtroppo molto sottovalutata in passato. Il pubblico si è fermato alla sua immagine “sanremese”, invece è un’interprete molto particolare. Non l’ha aiutata il fatto che lei, a un certo punto, si è dedicata completamente alla famiglia, ai figli. Mi ha chiesto di produrle il disco, poi le ho anche scritto cinque canzoni. L’album dovrebbe uscire prima dell’estate».
Se n’è andato Al Jarreau.
«Di lui ho un ricordo eccezionale. Quando ho avuto la fortuna e l’onore di collaborare con lui, ho scoperto proprio la persona e l’artista che mi aspettavo di trovare, quando ascoltavo e amavo i suoi dischi. Persona modesta, giocosa, che si sapeva prendere in giro, fra noi si era creato un affetto personale».
E Pino Daniele quanto le manca?
«Tanto. Ho avuto la fortuna di frequentarlo nella sua ultima casa, in Toscana. Si alzava alle nove, alle nove e mezzo aveva già la chitarra in mano: devo studiare, diceva. Dovevamo fare un disco e un tour assieme. Non c’è stato il tempo».
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