TAGLI AL FUS
Parte anche dal Friuli Venezia Giulia, terra di frontiera e di cultura, il grido di dolore, l’allarme circostanziato, la richiesta di aiuto che il mondo dello spettacolo italiano lancia contro i tagli al Fus, acronimo che sta per Fondo unico per lo spettacolo.
L’altra sera a Gorizia, ricevendo il Premio Amidei assieme a Marco Risi per la sceneggiatura del film ”Fortapasc”, il giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori ha detto che il taglio del Fus «è uno scandalo così come lo è la figura meschina di un ministro della Cultura che si era impegnato davanti al Presidente della Repubblica e ora non ha neanche il coraggio di dimettersi».
Parole dure. Che proseguivano quasi con una minaccia: «D’ora in poi ci prenderemo tutte le libertà e manifesteremo ovunque. Cominceremo con la conferenza stampa del Festival di Venezia. Il Governo deve sapere che useremo qualsiasi mezzo per far sì che questo scandalo abbia visibilità internazionale. Devono avere paura, perchè faremo una grande battaglia a partire da quella data».
E anche nella serata di chiusura del Mittelfest, domenica a Cividale, la compagnia del regista Franco Però e dell’attore Omero Antonutti ha dato lettura di un comunicato per protestare «contro i tagli al Fus, che sono l’ennesimo picco negativo di una parabola in discesa costante delle possibilità economiche negli ultimi dieci anni».
Ma vediamo di capire innanzitutto di che cosa stiamo parlando e che cosa è successo negli ultimi mesi per scatenare le proteste di tutto il mondo dello spettacolo italiano. Il Fus è il meccanismo utilizzato dal Governo per regolare l'intervento pubblico nei settori del mondo dello spettacolo, e cioè soprattutto cinema, teatro e musica.
È stato creato con l'articolo 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163 ("Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo") per «fornire sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti in cinema, musica, danza, teatro, circo e spettacolo viaggiante, nonché per la promozione e il sostegno di manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale in Italia o all'estero».
Secondo la stessa legge, il fondo viene rifinanziato ogni anno con la legge finanziaria e viene ripartito tra i vari settori con un decreto del Ministro per i beni culturali. Per l'anno in corso il finanziamento stabilito dalla finanziaria doveva essere nelle previsioni di oltre 500 milioni di euro e invece è di 400 milioni scarsi (per l’esattezza: 398.036.000 euro). Un taglio secco, dunque, del venti per cento.
La cifra a disposizione, secondo il decreto attuativo, viene così distribuita, al netto dei venti milioni di euro destinati alle fondazioni lirico-sinfoniche: 47,5% agli enti lirici, 18,5% alle attività cinematografiche, 16,3% alle attività di prosa, 13,7% alle attività musicali. Poco più che spiccioli alle attività di danza (2,3%) e quelle circense (0,2%).
L’iniziale richiesta di un reintegro del fondo, proveniente da esponenti di maggioranza e opposizione, sembrava in un primo momento aver ottenuto un mezzo impegno del ministro Bondi, ma poi non ha avuto seguito. La commissione bilancio della Camera ha infatti bocciato gli emendamenti presentati da Pdl e Pd per chiedere il reintegro del Fus, salvo poi recuperarli in seconda battuta. Ma la partita è ancora aperta.
Col risultato che persino due parlamentari di maggioranza, G<WC1>abriella Carlucci e Luca Barbareschi<WC>, che vengono dal mondo dello spettacolo, hanno<WC1> sottolinea<WC>t<WC1>o che «250mila posti di lavoro sono in pericolo, migliaia di imprese rischiano di fallire, un intero settore produttivo nazionale rischia il collasso. L'industria dell'intrattenimento è stata completamente esclusa dalle misure anticrisi e questo è assolutamente inaccettabile. Nel nostro Paese non possono esistere aziende di serie A ed aziende di serie B. Siamo al fianco di tutti gli operatori del mondo dello spettacolo e delle manifestazioni di civile protesta che vorranno porre in essere per testimoniare tutto il loro disagio, tutta la loro delusione».<WC>
Questa la situazione. Che ha serie conseguenze anche a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia. «Per noi duecentomila euro in meno - dice Antonio Calenda, direttore del virtuosissimo Stabile del Fvg, campione di incassi - sono comunque una botta notevole. Fra biglietti e abbonamenti possiamo contare su quattro milioni di entrate, cui si aggiungevano un milione e cento dallo Stato e un altro milione abbondante dalla Regione. Ora questa decurtazione ci mette in seria difficoltà, anche perchè va ad aggiungersi ad altri tagli subiti negli anni scorsi e che ci hanno costretto già a fare tutte le economie possibili. Diciamo allora che non sappiamo più dove risparmiare per non penalizzare la qualità della produzione...».
A margine Calenda lancia anche una critica, diciamo così, ”fratricida”: «Per quanto riguarda poi i fondi erogati dalla Regione, non è concepibile che noi riceviamo gli stessi finanziamenti destinati al Nuovo di Udine. Con tutto il rispetto, loro ospitano gli spettacoli, noi oltre a ospitarli ne produciamo. Quest’anno ben sedici, che poi hanno girato l’Italia...».
Ma andiamo avanti. «La verità - spiega Alberto Bevilacqua, presidente del Css di Udine - è che la nostra regione ha un sistema teatrale di prosa a livelli di eccellenza. Non ci sono doppioni, c’è un grande equilibrio che è stato coltivato dalla Regione ed è il nostro punto di forza. Bisogna allora rafforzare questo sistema e collaborare di più...».
Ancora Bevilacqua: «Per quanto riguarda il Css, che è <IP9><CF><CP>Teatro Stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia</CP></CF></IP>, i nostri numeri sono più piccoli ma proprio per questo nostro ruolo legato alla ricerca i tagli fanno più male. Nel 2008 abbiamo ricevuto dallo Stato 435 mila euro. A oggi sappiamo che il taglio sarà nell’ordine del venti per cento, ma non sappiamo ancora nulla di sicuro. E la situazione di incertezza, dovendo programmare per tempo, produce danni quasi quanto il taglio stesso».
«Noi abbiamo un bilancio molto virtuoso - conclude il presidente del Css - nel quale metà delle risorse arriva dagli incassi e l’altra metà dai finanziamenti pubblici. Diciamo che la stagione 2009, con i soliti risparmi, è in salvo. Ma se le cose non cambiano, quella del 2010 è a rischio. Il guaio, nel nostro paese, è che la cultura non è considerata impresa che produce lavoro, che ha bisogno di dati certi per poter esprimere una propria progettualità».
Passiamo alla lirica. Che è quella che gode dei finanziamenti maggiori e per la quale dunque anche i tagli sono più dolorosi. «Il nostro finanziamento previsto - spiega Giorgio Zanfagnin, sovrintendente del Teatro Verdi - doveva essere di sedici milioni nel 2008 e diciotto nel 2009. A un primo taglio di sei milioni nel biennio se n’è ora aggiunto uno ulteriore di altri due milioni e 200 mila. E l’annunciato tentativo di attenuare la riduzione sembra fallito».
Con il risultato, conclude Zanfagnin, «che al posto dei trentaquattro milioni previsti nel biennio ne arriveranno meno di ventisei. Un taglio che corrisponde a due o tre anni dei nostri incassi al botteghino... Ma noi andiamo avanti comunque, grazie ai risparmi fatti e ai criteri imprenditoriali adottati. I prezzi dei biglietti non li abbiamo aumentati. Il bilancio 2008 è stato chiuso in pareggio, su quello dell’anno in corso avremo invece dei problemi. Tutto sommato piccoli, rispetto a quelli di altre fondazioni liriche, che rischiano la chiusura».
I "cahiers de doléances" potrebbero andare avanti a lungo. Anche perchè i tagli riguardano altre importanti realtà dello spettacolo triestino e regionale, dal Teatro Stabile La Contrada al Teatro Stabile Sloveno al mondo del cinema. Nel quale serie difficoltà incontreranno i cinque festival cinematografici regionali finanziati dallo Stato e che fanno parte dell’Afic, Associazione Festival Italiani di Cinema. Cioè Alpe Adria Cinema, Maremetraggio, Scienceplusfiction, Giornate del Cinema Muto, Far East Film.
Tutti lamentano tagli nell’ordine del venti per cento. Ma hanno un’ultima speranza. Una ciambella di salvataggio lanciata dalla Regione. «L’assessore alla cultura Molinaro - dice Chiara Omero, direttore artistico di Maremetraggio, nel direttivo nazionale dell’Afic - si è impegnato a ripristinare i fondi perduti con una variazione di bilancio. Che dire? Aspettiamo e speriamo...». Altrimenti, dicono un po’ tutti, si rischia di chiudere.
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