giovedì 17 novembre 2011

LIBRO BEATLES


A ovviamente come Apple, nome della storica casa discografica dei Beatles, ben prima di diventare la premiata “ditta” di Steve Jobs, a cui fra l’altro il libro di cui parliamo è dedicato. B come Beatlemania, fenomeno che da musicale, negli anni Sessanta, divenne ben presto sociologico e si diffuse a livello planetario. C come cinema, a ricordare il fondamentale rapporto dei quattro di Liverpool con la settima arte, da “A hard day’s night” del ’64 fino a “Let it be” del ’70. E poi avanti con tutte le lettere dell’alfabeto, giù giù fino alla Z di zuppa, dal titolo di un ricettario ispirato proprio alle canzoni dei “fab four”.

Fra i mille libri dedicati in tutti questi anni al quartetto inglese, “B come Beatles” dei triestini Eugenio e Viviana Ambrosi - che esce in questi giorni per Mgs Press - si distingue per la mole di notizie e curiosità pubblicate con la formula di questa sorta di dizionario per voci, ma anche per la riproduzione fotografica di tanti oggetti e memorabilia beatlesiani.

Copertine di giornali e ovviamente di dischi, fotografie e locandine, figurine e calendari, accendini e modellini, orologi e persino salvagenti gonfiabili a forma di “Yellow submarine”... Tutte cose che tre anni fa erano state protagoniste della mostra “Here, There, Everywhere”, organizzata a Trieste (quella volta con l’aiuto dell’altra figlia, Valentina) dallo stesso Ambrosi, fan della prima ora e grande appassionato dei quattro, che è riuscito a trasmettere la sua passione anche alla figlia, che firma con lui il libro.

«È passato quasi mezzo secolo - scrive l’autore, classe ’51, nell’introduzione - da quando ne ho sentito parlare la prima volta, quando illustri esperti del settore proclamavano autorevolmente che di lì a pochi anni non se ne sarebbe nemmeno ricordato il nome».

La confessione del primo amore continua così: «Già, il nome: all’inizio non era un problema, quello che colpiva era il sound, diremmo oggi, la vitalità di una musica nuova che sprizzava energia e che faceva passare in secondo piano la pressoché assoluta incomprensione delle parole: chi sapeva allora l’inglese? Oltretutto, io studiavo tedesco, retaggio di una cultura che a Trieste faceva trovare il tedesco sui banchi di scuola e la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” sui tavoli dei suoi caffè mitteleuropei...».

Il libro è dunque la storia di una grande passione adolescenziale, poi mantenuta e sviluppata anche nell’età adulta. Che è poi quello che è successo a tanti ex ragazzi cresciuti fra gli anni Sessanta e Settanta a pane e musica, quella musica - innanzitutto dei Beatles, poi anche di altri artisti e gruppi - che è stata parte integrante nell’evoluzione della cultura e del costume della seconda metà del Novecento. E il merito di Ambrosi è anche quello di essere riuscito a coinvolgere le due figlie, in questa sorta di “Beatlemania di famiglia”.

Fra una lettera e l’altra, ci viene ricordato che il primo a parlare dei “fab four” alla tv italiana fu il goriziano Gianni Bisiach, nel novembre ’63 a “Tv7”, storico rotocalco giornalistico della Rai in bianco e nero e con due soli canali. E poi il loro rapporto con i fumetti, quello ben più controverso con le droghe (compresa ovviamente la leggenda di “Lucy in the sky with diamonds”, in sigla “Lsd”, ma ispirata a Lennon da un disegno del figlio Julian, che aveva immaginato la compagna d’asilo Lucy sospesa in un cielo di diamanti...), le loro tante donne, i rapporti con la regina e la casa reale britannica.

Particolarmente gustosa la I di Italia. Apprendiamo infatti che un tal onorevole Greggi «interrogò il Governo per avere rassicurazioni – anche in relazione alle polemiche esplose in Inghilterra circa l’”idiozia” di certe manifestazioni – che la Rai Tv non avrebbe collaborato alla propaganda e diffusione di certi degradanti fenomeni, in particolare gli spettacoli “dei cosiddetti Beatles”, in alcuni teatri italiani». E che il sottosegretario alle Poste «ne condivise le perplessità e la tv di Stato rifiutò di trasmetterne un concerto».

Era il giugno del ’65. I Beatles arrivarono nel nostro Paese e tennero otto spettacoli a Milano, Genova e Roma. Ogni volta quattordici canzoni, solo mezz’ora in scena. Perchè dovevan esibirsi anche le star locali Peppino di Capri, New Dada e Guidone. Il quattordicenne Ambrosi non c’era, perchè il babbo - apprendiamo dal libro - non gli diede il permesso. Anche questa una storia comune a tanti, tantissimi ragazzi di allora, attirati dalla nuova musica e dai loro nuovissimi protagonisti, ma che dovevano combattere in famiglia per strappare agognati sì che non sempre arrivavano.

“B come Beatles” esce - come ricorda Massimo Polidoro nella prefazione - nel cinquantenario di un evento in qualche modo fondamentale, nella loro leggenda. Era infatti il novembre del 1961 quando Brian Epstein, una sera, a Liverpool, andò a sentirli al Cavern, il locale dove suonavano di ritorno da Amburgo. Ne aveva sentito parlare tanto, voleva verificare di persona, ne fu talmente colpito che divenne il loro manager.

Dopo qualche rifiuto, fra cui quello della Decca passato alla storia, ottenne per loro un contratto discografico con la Emi-Parlophone. Ma al produttore George Martin non piaceva il batterista, il povero Pete Best (il famoso “Beatle mancato”...) venne dunque congedato e fu assoldato Richard Starkey, alias Ringo Starr, vecchio amico di Liverpool, considerato poi alla stregua di uno che aveva trovato la schedina vincente per strada.

Tutto il resto è storia. A partire dalla pubblicazione, il 5 ottobre del ’62, del primo 45 giri “Love me do” (sul retro “I love you”. Fino ai trionfi mondiali, fino allo scioglimento e all’ultimo album, “Let it be”, uscito nel ’70 a gruppo ormai finito. John Lennon seguì la sua Yoko Ono a New York, dove venne assassinato l’8 dicembre di dieci anni dopo. Anche George Harrison è morto, di cancro, a 58 anni, il 29 novembre di dieci anni fa a Los Angeles, nella villa di Ringo Starr. Che oggi è, assieme a Paul McCartney (che apre il suo nuovo tour mondiale il 26 novembre a Bologna, con tappa il giorno dopo a Milano), uno dei due Beatles superstiti. Dicono che suoneranno di nuovo assieme. Ma noi preferiamo ricordarli tutti e quattro com’erano. Forever young.

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Se ne parla domani

al Caffè San Marco

Chi non ha mai canticchiato “All you need is love” oppure “Yellow Submarine”? E chi non ha mai sentito parlare della leggenda della morte di Paul McCartney, che sulla copertina di “Abbey Road” appare, unico dei quattro, a piedi nudi proprio per segnalare in maniera subliminale che non fa più parte del mondo dei viventi?

A questa e ad altre domande danno risposta Eugenio e Viviana Ambrosi nel libro dedicato ai Beatles che presenteranno domani, alle 18, al Caffè San Marco di Trieste. A dialogare con loro sarà il giornalista del “Piccolo” Carlo Muscatello. La prefazione a questo dizionario per voci, pubblicato da MgsPress, è firmata da Massimo Polidoro 



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