mercoledì 30 novembre 2011

Trieste, un miliardo per tornare mitteleuropea



di PAOLO POSSAMAI (da REPUBBLICA AFFARI e FINANZA)

S
e l’Italia dispiega un estro formidabile nel mettere i bastoni tra le ruote a chi fa impresa, Trieste manifesta impareggiabili tensioni suicide. A quale altro pezzo di mondo sarebbe riuscito di impiombare a volo Generali, quando a metà anni ’80 voleva realizzare il proprio head quarter all’interno di Porto Vecchio? Tant’è che la maggior compagnia assicurativa italiana, decise di costruire alle porte di Mestre il suo centro direzionale e la fabbrica prodotti. E il copione è stato ripetuto 56 anni fa, quando Porto Vecchio era candidato a sede dell’Expo e i campioni della conservazione sabotarono il progetto. Ebbene, stavolta potrebbero essere delusi quelli che smaniano dal desiderio che caschino definitivamente a pezzi i magnifici magazzini portuali costruiti dagli imperialregi asburgici ingegneri. In palio vi è un investimento superiore al miliardo di euro e una partita immobiliare di scala europea, e con essi il riscatto possibile di Trieste. I protagonisti dell’intervento sono le imprese di costruzioni Maltauro (406 milioni di ricavi, Ebit pari a 8,8 milioni) e RizzaniDe Eccher (ricavi consolidati per 412 milioni, Ebit per 23) con il gruppo Banca Intesa (Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo, Cassa di risparmio del Friuli Venezia Giulia) e Sinloc, tutti insieme riuniti nella società di scopo chiamata Portocittà. «Siamo in presenza di una sfida che non ha pari in Italia. La vinceremo se saremo capaci di riunire Trieste al suo mondo di riferimento naturale e storico, che è davvero la Mitteleuropa. E la vinceremo perché in questo senso ci assistono la nostra esperienza di general contractor internazionali e partners finanziari di prim’ordine. Puntiamo a coinvolgere fondi pensione non speculativi, orientati al lungo periodo, e in questo senso i nostri partners ci saranno di sicuro d’aiuto», dice Enrico Maltauro, presidente del gruppo di famiglia e amministratore delegato di Portocittà. Nelle parole di Maltauro troviamo l’eco della composizione sociale di Sinloc, che è espressione di varie Fondazioni bancarie e della Cassa Depositi e Prestiti.

Portocittà nel 2010 ha ricevuto in concessione dall’allora presidente dell’Autorità portuale, Claudio Boniciolli, per 70 anni un’area di 44 ettari, con fabbricati monumentali da recuperare per una superficie complessiva coperta di 158mila metri quadrati, edifici di nuova edificazione per 84mila metri quadrati, specchi d’acqua per 86mila metri quadrati, spazi verdi per 35mila metri quadrati, un waterfront lungo 3 chilometri e mezzo. Il tutto a trecento metri da piazza Unità d’Italia, perché il Porto Vecchio è la naturale estensione urbanistica verso Nord della città disegnata sulle saline nella prima metà del ‘700 per volere di Maria Teresa d’Austria. «Ci metteremo dieci anni a completare il mosaico. Cominceremo nel 2012 con la prima delle due darsene previste e con il restauro di due Magazzini, che si aggiungeranno al Magazzino 26 già disponibile», spiega Maltauro. Pensiamo che il Magazzino 26 è lungo 244 metri, e sui quattro piani sviluppa una superficie di quasi 30mila metri quadrati. Mattoni a vista, colonne in ghisa guarnite di capitelli corinzi, travi in ferro: il Magazzino 26 è un testo di archeologia industriale che richiama le glorie di un tempo ormai lontano, quando Vienna nell’ultimo quarto del XIX secolo impiantò a Trieste e a Amburgo i due porti dell’impero. Uno sul Mare del Nord e l’altro era l’affaccio più settentrionale del Mediterraneo, quando il Mare Nostrum veniva messo in comunicazione con il Far East tramite il canale di Suez.

Mentre Amburgo il suo porto Vecchio l’ha ampiamente recuperato e i suoi Speicherstadt sono tornati a essere motore dell’economia, Trieste si è perduta nel dedalo dei veti incrociati. E sarà da vedere, dunque, come partiranno i lavori l’anno venturo per il recupero "filologico" dei Magazzini 24 e 25 destinati a accogliere strutture di servizio alla nautica, alberghiere e di commercio. Nell’ambito dello stesso primo lotto, sarà realizzato il porticciolo per 180 approdi, chiuso dal cosiddetto Molo Zero. E forse in pari tempo sarà avviata anche la costruzione della seconda darsena da 200 posti, accanto al Molo III.

Sono importanti le darsene, in questo progetto, perché simbolicamente possono ricongiungere Trieste allo storico suo retroterra naturale, che solo in piccola parte è contenuto nei confini nazionali. La darsena per i megayacht, per esempio, implica la possibilità di offrire al grande industriale bavarese o al super manager viennese o praghese la riscoperta del suo primo affaccio al mare. Che è a Trieste, appunto. In una città che d’estate è di norma porto di servizio per le navi di proprietà dei vari Abramovich di cui la Vecchia Europa è densamente popolata, la scommessa non è configurabile come un mero azzardo. «E se la Mitteleuropa ritrova i fili della storia che la riportano a Trieste, il nostro investimento troverà il suo habitat più appropriato», rimarca Maltauro.
 


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