martedì 17 aprile 2012

ARIELLA REGGIO: HO INVITATO WOODY ALLEN A TRIESTE

«Woody Allen? Si dice sempre che è un gran nevrotico, ma con me è stato molto educato e gentile, nelle riprese che abbiamo fatto l’estate scorsa. L’altra sera l’ho rivisto all’anteprima del film, a Roma. Alla cena c’erano duecento persone, ma sono riuscita a salutarlo e a scambiare due parole. Gli ho anche chiesto se conosce Trieste, e quando mi ha risposto di sì, mi sarei aspettata qualche riferimento alla Mitteleuropa o magari alla psicanalisi. Invece mi ha detto che conosce la città perchè ha sentito parlare di un ottimo circolo del jazz. Ho colto l’occasione per invitarlo qui a suonare il suo clarinetto...».
Ariella Reggio domani alle 17 riceve al Rossetti il Premio internazionale dell’operetta, giunto alla ventiquattresima edizione. Ma in questi giorni si parla di lei soprattutto perchè è nel cast del nuovo film di Woody Allen, “To Rome with love”, che esce venerdì nelle sale italiane.
«In realtà nel film ho un piccolo ruolo - si schermisce l’attrice triestina -, sono una “vecia teribile” dentro un gruppetto di quattro zii piuttosto arcigni, che vanno a trovare in albergo un nipote appena sposato e poi fanno un giro per Roma».
Ma una sua battuta è rilanciata persino nel trailer.
«Sì, in quella scena eravamo a Palazzo Farnese. Sono convinta che non è stata tagliata perchè ho uno scambio di battute con Penelope Cruz. Ammirando gli affreschi io dico: dev’essere duro lavorare tutto il tempo sdraiati sulla schiena, non lo posso immaginare. E lei, in minigonna rossa, ribatte allusiva: io sì...».
Com’è arrivata la chiamata di Woody Allen?
«Attraverso la fiction, soprattutto “Tutti pazzi per amore”, ormai conosco tutti i casting di Roma. Più di quelli di Trieste, dove infatti non lavoro mai. Il regista ha fatto centinaia di provini, mi dicono che li abbiamo visionati lui personalmente. E ha scelto».
Sul set com’è andata?
«Abbiamo girato l’estate scorsa. Lavoro tranquillo, senza stress. Dicono che Allen sia un nevrotico, a me non è sembrato. Qualche mia inquadratura è stata tagliata, mi dispiace, ma al cinema è così».
Ha mai rimpianto di non essere rimasta a Londra, negli anni Sessanta?
«Qualche volta sì, è il mio unico rimpianto. Conducevo un programma di lezioni in italiano alla Bbc, alla radio e poi alla tv. La gente mi riconosceva per la strada. Erano gli anni Sessanta, ero giovane, il mondo stava cambiando. Una volta ho anche incrociato i Beatles all’aeroporto. Poi sono tornata, la nostalgia, le insistenze dei miei genitori, erano altri tempi. Ma quell’esperienza mi ha dato una grande apertura mentale».
In Italia subito Strehler, il Piccolo di Milano.
«Era il ’70. Facevo uno spettacolo all’Auditorium, seppi che c’erano questi provini a Milano. Partii, fui scelta. Avevo una particina, restavo incantata a guardare le prove. Strehler era un artista fantastico, ma un uomo terribile. Comunque l’ho sempre ammirato: faceva un teatro colto e popolare».
La Contrada?
«Una pazzia, più che una scommessa. Allo Stabile eravamo coccolati, decidemmo di rischiare, con gioia e passione: andò bene. A volte mi sembra un sogno che esista ancora».
Trieste si può permettere tre Teatri stabili?
«Se li deve permettere. A costo di sacrifici, puntando sui giovani, perchè gli spettatori e i talenti ci sono. Bisogna andare avanti. E’ strano: ormai c’è più teatro su Youtube che nelle sale...».

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