lunedì 16 gennaio 2006

«Cara democrazia, sono stato al tuo gioco anche quando il gioco si era fatto pesante, così mi sento tradito, o sono stato ingannato, mi sento come partito e non ancora approdato, sento un vuoto, sento un vuoto al mio fianco, e nessuna certezza messa nero su bianco...».
Ovvero: quando una canzone dice di un momento politico, di una sensazione diffusa fra tanta gente, più di mille discorsi e articoli di giornale. Le parole sono di Ivano Fossati, tratte dalla sua nuova canzone «Cara democrazia», appena pubblicata su un singolo che anticipa il nuovo album, «L’arcangelo» (Sony Bmg), in uscita il 3 febbraio. Parole serie, gravi, pesanti, adeguate al momento storico e politico che stiamo vivendo, e che sembrano fatte apposta per esprimere il pensiero di tanti: delusi, allertati, disorientati.
Parole pessimiste che arrivano a quattordici anni dall’ottimismo della «Canzone popolare», poi adottata come prima sigla dell’Ulivo. Parole che richiamano il grido di dolore di Franco Battiato «Povera patria», datato 1991: si era alla vigilia della rivoluzione di Mani pulite, quando la credibilità dei politici della cosiddetta Prima repubblica era ridotta quasi a zero. Livello dal quale non siamo lontani oggi, con la Costituzione ridotta a carta straccia, modificata a botte di maggioranza. Con la contrapposizione politica ridotta a rissa, ad avanspettacolo.
Agli artisti non è chiesto di far politica in senso stretto. Ma dai più sensibili ci si può anche aspettare, a volte, di rappresentare lo spirito dei tempi, di interpretare un sentimento diffuso, di anticipare - con la forza e l’intelligenza delle emozioni - un cambio di stagione. Anche politico.
È quel che avviene con Ivano Fossati, che ha definito questa canzone «un'esortazione civile». Secondo lui «stiamo andando verso una democrazia di mercato che è pericolosa come un totalitarismo. La democrazia di mercato è quel tipo di sistema in cui, per esempio, se hai settanta-ottant’anni e poco denaro, nessuno si prende cura di te».
«Succede in tutto l'Occidente - dice il cantautore ligure in un’intervista a Vanity Fair - ma in Italia la democrazia ha subito duri colpi anche in passato. È quello che succede ogni volta che c'è una strage come Piazza Fontana, che non viene chiarita nemmeno più di trent'anni dopo. Così ci si abitua al fatto che la verità non verrà mai definita...».
Il brano è una ballata rock, ritmata, pulsante e incalzante, lontana dalle eleganti e spesso esotiche costruzioni melodiche cui l’artista ci ha tante volte abituati. «Con santa pazienza ho dovuto aspettare, con quanta buona fede sono stato ad ascoltare... con benedetta arroganza sono stato avvilito, con quanta leggerezza sono stato alleggerito... cara democrazia, cara gemma imperfetta, equazione sbagliata non scritta e mai corretta...».
Da un uomo che non ha mai nascosto la sua vicinanza alla sinistra, fra le righe si legge anche un senso di profonda delusione e disillusione - tipo il grido di dolore di Nanni Moretti di qualche anno fa, in piazza Navona, che diede il via alla stagione dei cosiddetti Girotondi - nei confronti di chi, fra un autogol e l’altro, non ha saputo risparmiare al paese le tante, troppe umiliazioni di questi ultimi anni.
Il finale è un’esortazione sofferta e puntuta: «Ahi che pessime orchestre, che brutta musica che sento, qui si secca il fiore e il frutto del nostro tempo, sono giorni duri, sono giorni bugiardi. Cara democrazia ritorna a casa che non è tardi...». Meglio, molto meglio di una dotta e noiosa analisi politica.



Nel 2003 ha vinto Sanremo Giovani. Ma l’anno dopo non l’hanno invitata fra i «big». E lei ha dovuto ricominciare tutto andando a vincere l’anno scorso il reality «Music Farm». Ora la pugliese Dolcenera - e già il nome d’arte «rubato» a una canzone di De Andrè la rende simpatica - a Sanremo ci va per davvero, dalla porta principale, con la canzone «Com’è straordinaria la vita». In attesa della quale, i suoi fan hanno molto apprezzato l’album «Un mondo perfetto» (Edel). Una manciata di canzoni emozionanti, con tre cover: «Sei bellissima» della Bertè, «Lulù e Marlene» dei Litfiba e «Pensiero stupendo» di Patty Pravo.
Da una donna del sud italiano a una splendida interprete nera del sud della Carolina, Stati Uniti. «Stone hits - The very best of Angie Stone» (Sony Bmg) è una raccolta che mette in fila alcune delle cose migliori regalate al pubblico di mezzo mondo da questa grande interprete della scena rhythm’n’blues. È il suo primo best, che conferma la Stone (che è anche compagna del soul-man D'Angelo, uno degli eredi artistici di Marvin Gaye) fra le regine del nuovo soul statunitense. C’è anche un inedito, «I wasn't kidding», fra le tante perle funky («Everyday», «Little boy», «No more rain»...) che brillano nel disco.
Cambio scena. Loro si chiamano Sikitis, vengono dalla Sardegna, hanno pubblicato un disco intitolato «Fuga dal deserto del Tiki» (Casasonica Emi). Mischiano radici hardcore, suggestioni psichedeliche, amore per il rock’n’roll e il progressive, ma soprattutto piccole e originali storie da raccontare. «Roma a mano armata», «Giulietta degli spiriti», «Metti una sera a cena» sembrano piccoli cortometraggi alla maniera di Tarantino. «Caravan» fa la figura di uno standard jazz. E la rilettura di «L'importante è finire», classico di Mina, non passa inosservata.



È diventato un dvd la bella registrazione dal vivo realizzata da Carlos Santana negli studi della Sony a New York, nell’ottobre del 2002. Il mitico chitarrista messicano, inventore del latin-rock, sulle scene ormai da quarant’anni, è qui in forma strepitosa. Meglio ancora che nel recente album «All that I am». E regala classici come «Oye como va», «Black magic woman», «Soul sacrifice», «Europa», ma anche perle dai recenti album «Supernatural» (venticinque milioni di copie vendute) e «Shaman». Il filmato riesce a restituire le emozioni che Santana - 59 anni a luglio - trasmette ogni volta che sale su un palcoscenico. Caliente...


Ha fatto dei duetti - assieme all’amore per la musica nera mischiata alla melodia italiana - il suo credo, la sua religione, forse anche il segreto della sua affermazione anche a livello internazionale. E in questo cofanetto (due cd e un dvd, che ripropone il concerto tenuto il 6 maggio 2004 alla Royal Albert Hall di Londra) spara tutte le cartucce a disposizione: Sting, Eric Clapton, Jeff Beck, Tom Jones, Macy Gray, John Lee Hooker, Sheryl Crow, B.B.King, Paul Young, Mark Knopfler, Pavarotti, Bocelli, l’inarrivabile (e compianto) Miles Davis, che aveva trasformato la sua «Dune mosse» in un capolavoro autentico. Insomma, bella parata di stelle. E documento fondamentale della carriera di Zucchero. Da collezione...

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