domenica 29 gennaio 2006

PERCOTO Evel Aztarbe De Petrini si asciuga una lacrima con gesto discreto, mentre Claudio Magris, lassù sul palco accanto a lei, nell’enorme distilleria, spiega perchè il Premio Nonino 2006 «A un maestro del nostro tempo» va a lei e alle altre Madri di Plaza de Mayo.


Ma dieci minuti dopo, quando la donna avrà finito il suo breve ringraziamento, sono tantissimi gli occhi lucidi ed è palpabile la commozione autentica fra quanti la applaudono e si alzano in piedi per rendere omaggio a questa donna piccola, col suo fazzoletto bianco in testa. Una donna sola ma forte, simbolo della lotta contro l’arroganza e la protervia di ogni potere. Non soltanto quello sanguinario dei militari che dopo il golpe del ’76, in Argentina, fecero sparire (i tristemente noti «desaparecidos») oltre trentamila veri o presunti oppositori alla dittatura.
L’aveva detto, Magris, membro della giuria presieduta da Ermanno Olmi: il riconoscimento alle Madri argentine è un po’ il culmine di tante edizioni del Premio Nonino. Con loro vengono idealmente premiati tutti coloro che si battono contro le ingiustizie. Con loro il dolore per la perdita di un figlio non è una battaglia personale, diventa battaglia per tutti.
Quando arriva il suo turno, lei prende il microfono in mano e attacca a parlare nella sua lingua, senza bisogno di traduzioni, perchè la sua è la voce del cuore, è la voce di tutti gli oppressi che stamattina sono idealmente qui, nella campagna friulana, mentre fuori fa freddo, vicino agli alambicchi che fumano, davanti a una platea incredibilmente eterogenea (il vero mistero ma anche il miracolo del Premio Nonino...).
Evel Aztarbe De Petrini ha l’oratoria di un leader. E il suo idioma rende ancor più appassionate le sue parole. Ringrazia a nome di quei figli che non sono morti, per loro non ci sono tombe né monumenti, la loro vita non può essere barattata con un risarcimento economico. Per loro, per quei figli, la morte non esiste. Nel loro nome siamo ancora tutti uniti, nella speranza di un mondo migliore. Parole retoriche? Può darsi, ma scaldano il cuore molto più e molto meglio della grappa che qui si produce e si commercia.
Ma si diceva del mistero/miracolo del Premio Nonino, che ogni anno, nell’ultimo sabato di gennaio, riesce a portare in questa fredda e grigia e bagnata campagna friulana, fra filari di alberi spogli e colori dimessi dell’inverno, uno strano mix di scrittori, scienziati, artisti, Premi Nobel passati o futuri, uomini di fede, politici, industriali, editori, giornalisti... Chi viene premiato, chi è in giuria, chi viene invitato, fatto sta che sembra essere diventato ormai da tempo un appuntamento a cui non si può mancare.
Anche ieri, nel tendone eretto per la bisogna e nel salone della grande distilleria, durante le premiazioni seguite dal pranzo, volti noti come piovesse (e in effetti fuori piovigginava). All’entrata accoglienza a base di banda, stuzzichini e prosecchini. Il premiato Gavino Ledda intabarrato in un montone stile anni Settanta abbraccia l’indigeno Mauro Corona in bandana e maglietta maniche corte d’ordinanza. E più in là c’è Omero Antonutti, che fu l’indimenticabile «Padre padrone» nel film dei fratelli Taviani.
Gad Lerner risponde al telefonino, Missoni rilascia l’ennesima intervista «in triestìn», Pino Roveredo gira scortato dalla direttrice editoriale Bompiani, Elisabetta Sgarbi, nota «sorella di». Il rettore di Udine Furio Honsell si gode la recente fama mediatica originata dalle comparsate da Fazio (inteso come Fabio). Ma ci sono anche Cesare Romiti, Inge Feltrinelli, Natalia Aspesi, Carmen Lasorella, Tullio Avoledo, la solita manciata di politici e industrialotti e sedicenti vip locali... Strano mix, davvero.
Che applaude come un sol uomo quando sale sul palco Gavino Ledda, Premio Nonino Risit d’Aur 2006, introdotto dall’esuberanza sempre un po’ sopra le righe («benvenutiiiii....!») di Giannola Nonino. Da millenni siamo agricoltori e pastori, dice lui, il cibo è una cosa troppo importante per non lasciarlo fare alla natura. E poi: «La mia scrittura nasce dalla terra, trent’anni fa ”Padre padrone” l’ho scritto con le unghie...».
Tocca alla scrittrice Harumi Setouchi, Premio Internazionale Nonino 2006, «una leggenda in Giappone - come spiega il Nobel V.S.Naipaul, componente della giuria - ma ancora una rivelazione per il lettore occidentale». Lei si presenta con la freschezza buddista dei suoi ottantatre anni a cranio rasato e in costume tradizionale. «Ho cominciato a scrivere dopo i trent’anni, sono diventata monaca a cinquantuno, ho scritto trecento opere, ma nessuna che mi soddisfi...». Segue un piccolo bignamino del buddismo, a suon di serenità, amore assoluto, compassione, ricerca della gioia per gli altri più che della felicità personale.
Ora manca solo un riconoscimento, il Premio Nonino 2006, quello che la prestigiosa giuria ha assegnato a Giovanna Marini. Doveva premiarla Peter Brook, trattenuto a Londra, che ha mandato comunque il suo messaggio. Lo legge il presidente della giuria Olmi: oggi c’è tanta musica, dice più o meno, quella che si rivolge alla mente e quella che fa muovere il corpo, ma la vera musica è quella che parla al cuore. Come quella che frequenta da sempre colei che ha dedicato la vita alla musica e alle tradizioni popolari.
Giovanna Marini imbraccia l’inseparabile chitarra e, arpeggiando arpeggiando, comincia a ringraziare per il premio, in questa «isola felice» che è stata creata da una «famiglia felice». Poi racconta di Giovanna Daffini, sua maestra, di tutto quello che ha imparato da lei, di quella volta, nel ’66, che «decisi di portarla alla Rai, per farla cantare in televisione, perchè tutti dovevano accorgersi di quant’era brava, e invece...».
Ricorda anche i suoi funerali, sull’argine del fiume, vicino a Reggio Emilia. E poi canta, in italiano e in friulano, da sola e con un coro. E poi è solo tempo di brindisi, di danze, di cibo che è tradizione e cultura contadina. Almeno qui a Percoto, ogni ultimo sabato di gennaio.

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