domenica 13 aprile 2008

GILLO DORFLES


Prima Boris Pahor, poi Lelio Luttazzi, ieri sera Gillo Dorfles. Della serie: i grandi vecchi triestini (se volete con l’aggiunta dell’ancor «giovane» Claudio Magris...) sono ormai di casa a «Che tempo che fa», l’appuntamento del fine settimana con Fabio Fazio, su Raitre, diventato anno dopo anno, edizione dopo edizione, un’oasi della televisione intelligente e di buon gusto.

In una serata quasi monopolizzata dal bel George Clooney, per il critico d’arte e docente di estetica triestino l’occasione della partecipazione è stata la pubblicazione del suo nuovo libro, «Horror pleni. La (in)civiltà del rumore». Fra l’altro nella giornata del suo compleanno numero novantotto: Gillo Dorfles è infatti nato il 12 aprile del 1910 a Trieste, anche se vive da molti anni a Milano.

Sollecitato da Fazio, il critico ha spiegato lo spunto da cui è partito, nel raccogliere una serie di suoi articoli pubblicati sul «Corriere della Sera» assieme a una decina di saggi inediti. «L’idea da cui sono partito - ha spiegato Dorfles - è che ormai non si capisce più niente per il troppo fracasso, non solo fisico ma anche morale. In giro ci sono troppi suoni, troppi rumori, troppe musiche. Anche quando vai al mare, le radioline ti impediscono di sentire il rumore delle onde...».

Insomma, l’«horror vacui» nei secoli scorsi stava a significare il senso di sgomento provocato dall’assenza di ogni segno e traccia umana. Ma oggi, attorno a noi, le nostre città sono schiantate da montagne di suoni, immagini, messaggi. Tutta roba che finisce per produrre un rumore costante, ma anche una cascata di emozioni e suggestioni. Da cui l’«horror pleni», speculare contrario dell’«horror vacui».

«Oggi si vuol velocizzare tutto - ha detto ancora il critico d’arte - manca quella distesa di silenzio, senza suoni e senza immagini, che non ti permette di meditare. Chissà, forse ciò è ancora possibile solo in qualche monastero della Grecia...».

Ancora Dorfles: «Ormai siamo all’opposto di quel che avveniva quando l’uomo ha cominciato a popolare la terra. I primi graffiti tracciati nelle grotte servivano a riempire il vuoto che circondava i primi uomini. Ma il risultato è che oggi abbiamo finito per cancellare noi stessi».

Certo, il desiderio dell’uomo di lasciare una traccia di se stesso è positivo, guai se l’essere umano non avesse il desiderio di esibirsi. «Ma quando è troppo, beh, andiamo proprio male...». Come liberarsi allora dal troppo? «Una volta bastava andare in cima all’Everest, o nei monasteri del Tibet, per trovare la pace, ora sappiamo che anche lì abbiamo gli scontri armati...».

Rimane la possibilità di rifugiarsi nell’opera d’arte, avere uno spazio libero, magari «in una stanza con un solo quadro di Mondrian...». Sì, perchè oggi tutto è pieno e pieno delle stesse cose: il guaio della globalizzazione. «Guai se scompaiono le differenze. Non bisogna rassegnarsi. Bisogna mantenere vive le caratteristiche culinarie, artistiche, culturali, di costume...».

Gillo Dorfles ammonisce: «Si può vivere anche senza velocità, senza troppi oggetti, senza troppi libri in casa. Sono ostile a qualunque tipo di tasto, tranne quelli del pianoforte. Anch’io ho comprato un computer, mi sono divertito a cercare la mia presenza su Google, ma a parte un piccolo compiacimento, è stata una fatica tremenda capire quali tasti schiacciare. Col risultato che un articolo scritto con tanta fatica d’un tratto è scomparso nel nulla».

Poi, sempre garbatamente imbeccato da Fazio, il grande vecchio triestino parla dell’«esibizionismo del proprio intimo che finisce per essere osceno»; della nostra lingua che ha perso il passato remoto e il futuro; del senso del ridicolo, proprio e altrui; della vecchia abitudine di fare una lista dei difetti delle persone incontrate («Allora sono rovinato», dice il conduttore)...

«Ho sempre cercato - ha concluso Gillo Dorfles - di essere snob, cioè sine nobilitate, ovvero senza quella vernice falsa che molti hanno addosso...».

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