LIBRO DI MAURO PAGANI
Dicembre 1969, giugno 1979. Nemmeno dieci anni, praticamente un secolo. Il primo flash è sulla Milano dell’autunno caldo, che passa inopinatamente - e tragicamente - dallo sberleffo creativo delle uova piene di vernice rossa lanciate sul pubblico borghese della prima scaligera alla ferita, al trauma della bomba di piazza Fontana.
L’ultimo flash fotografa una Milano molto diversa, nella quale una folla di amici, colleghi e ammiratori partecipa al funerale di Demetrio Stratos, cantante e musicista degli Area, massimo sperimentatore della vocalità umana, ammazzato dalla leucemia il giorno prima dello svolgimento del grande concerto all’Arena Civica che doveva raccogliere fondi per pagare le cure mediche e si trasformò invece in un estremo ricordo dell’artista.
Fra queste due date, fra questi due momenti si dipana la storia raccontata nel libro <CF102>”Foto di gruppo con chitarrista” (Rizzoli, pagg. 363, euro 17.50)</CF>, di <CF102>Mauro Pagani</CF>, già flautista e violinista della Pfm, la Premiata Forneria Marconi, poi musicista e produttore in proprio e per tanti grandi artisti di casa nostra. Un nome per tutti: Fabrizio De Andrè.
La storia narrata è quella di Sonny, chitarrista di belle speranze ma di assai moderate fortune, che il giorno dopo la strage di piazza Fontana decide di partire: Londra, Estremo Oriente, Amsterdam, Miami, Cuba, di nuovo Milano... Ogni tanto, sui Navigli o a King’s Road, fra un ingaggio su una nave da crociera e un amore ai tropici, il nostro incrocia proprio Mauro (Pagani): il vecchio amico, quello fortunato, quello che ce l’aveva fatta. Un giorno ce la fa anche a non lasciarsi ingabbiare dalla vita comoda ma bastarda della rockstar, ha il coraggio di scendere dal carro per seguire la propria testarda vocazione di uomo e musicista libero.
«La cosa che più mi stava a cuore - spiega Mauro Pagani, classe 1946 - era quella di ricreare l’atmosfera quotidiana degli anni Settanta. E con ciò intendo la vita spiccia di tutti i giorni. Quelle case, quei bar. Quelle cose che hanno reso meravigliosi quegli anni. Ciò non si poteva fare a prescindere dai dialoghi e dalle parole. La mia è stata una generazione molto verbosa, parlavamo molto e il fascino di quello che ci dicevamo molto. A mio parere, non c’era altro modo di trasmettere quelle atmosfere senza provare a fotografare di nuovo quegli attimi che erano nella memoria ma che, non essendo stati immortalati allora, erano privi del carisma dell’autenticità».
Ecco allora la vita dei localini dove si suona la sera, le puttane (oggi si direbbe escort...) di via Archimede, il movimento studentesco, il personale che è politico e la politica che entra nel personale, il sogno infranto di Parco Lambro, il girovagare per il mondo senza troppa nostalgia di casa, fino all’ultima speranza giocata a chemin de fer al Casinò di Campione.
«L’impressione di molti - fa dire Pagani a un amico di Sonny nelle ultime pagine del libro, datate dunque 1979 - è che stiamo andando incontro ad almeno vent’anni di sana e robusta reazione. Prima di tutto abbiamo dato un così triste spettacolo di noi che nessun ragazzo vorrà più sentir parlare di politica per lustri e lustri. E poi la grande Macchina del Sogno, del Consumo e del Consenso è ripartita a tutto vapore e nessuno riuscirà più a fermarla, almeno per un bel po’. E non c’è nemmeno molto che possiamo fare al riguardo, se non cercare di sopravvivere alla furia del vento...». Parole profetiche, seppur scritte con il senno di poi.
Solo dieci anni, quelli raccontati nel libro, che ha l’unico difetto di essere a tratti un po’ verboso (proprio come la generazione dell’autore...). Dieci anni, ma sembrano davvero molti di più. Gli entusiasmi collettivi virano in pacato disincanto. Si parte che si era ragazzi, si finisce che non lo si è più. E la musica, in qualche modo, se non ti ha salvato la vita sicuramente te l’ha segnata.
Quelli che invece hanno seguito la stella cometa della politica-politica, a guardarsi attorno, non si può dire che siano finiti meglio.
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