TORMENTONI
Il tormentone dell’estate 2009? Bella domanda. Che, fatta a dieci persone diverse, porterà con ogni probabilità a risposte, diciamo così, personalizzate.
Qualcuno punterà a occhi chiusi su ”Poker face”, canzoncina elettro-pop della platinata ventitreenne americana Stefani Joanne Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga. Altri opteranno per ”Not fair” di Lily Allen, o per ”Wonderful” di Gary Go. O ancora per ”LaLa song” di Bob Sinclair, per ”The boys does nothing” di Alesha Dixon, per ”When love takes over” di David Guetta e Kelly Rowland. O persino per ”Magnificent” degli U2. Con i quali almeno si va sul sicuro.
Ma ci sono anche gli aspiranti tormentoni (qualcuno li chiama già ”tormentini”...) di casa nostra. Ecco allora i fan di ”Domani è già qui” degli Artisti uniti per l’Abruzzo, quelli di ”Indietro” di Tiziano Ferro e di ”Stupida” di Alessandra Amoroso, trionfatrice di ”Amici”, addirittura quelli delle sanremesi Malika Ayane e Arisa, ancora in sella rispettivamente con ”Come foglie” e ”Sincerità”.
Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. La confusione sotto il cielo della musica è enorme, la situazione forse è eccellente, ma di certo c’è soltanto una cosa: il tormentone dell’estate 2009 non c’è, non esiste, alla vigilia di ferragosto non è ancora pervenuto. Al massimo c’è una decina di canzoni che in queste settimane vanno per la maggiore e sono dunque quelle che formeranno, fra qualche mese, tirati fuori i maglioni dall’armadio, la colonna sonora dell’estate ormai passata e forse rimpianta.
Vi ricordate invece i tempi in cui il tormentone estivo era quasi sempre uno e soltanto uno? Non ti potevi sbagliare. Nel ’68? ”Luglio” di Riccardo Del Turco. Nel ’77? ”Ti amo” di Umberto Tozzi. Nell’83? ”Vamos a la playa” dei Righeira (che fra l’altro sono a Trieste giovedì alle 21, in piazza Unità) ma anche ”Tropicana” del Gruppo Italiano. Nel ’90? ”Sotto questo sole” di Francesco Baccini con i Ladri di biciclette. Nel ’96? la ”Macarena” dei Los del Rio, successo planetario impostosi senza un vero lancio pubblicitario o promozionale, solo sulla forza della sua contagiosa potenza ripetitiva. Praticamente il tormentone perfetto.
Complici manifestazioni come il Disco per l’Estate o il Festivalbar, le stagioni calde degli anni Sessanta e Settanta avevano una sola ”canzone regina”. Al massimo, entrando nei decenni successivi, si arrivava a due o tre brani per estate. Gli ingredienti erano noti: pezzo commerciale, ritornello orecchiabile, possibilmente ballabile.
All’inizio c’erano anche quelle parole in grado di richiamare subito la stagione delle vacanze. Edoardo Vianello era uno specialista: ”Pinne fucile ed occhiali”, ”Abbronzatissima”, ”Guarda come dondolo”, ”Il peperone”... Ma anche Franco Battiato, quando scrisse ”Un’estate al mare” per la compianta Giuni Russo, con quell’invenzione degli ”ombrelloni-oni-oni...”, dimostrò di essere un grande anche della canzonetta, oltre che della musica colta.
Bei tempi. Ora, con la complicità di internet, la frammentazione regna sovrana. La musica popolare si divide in tanti generi e sottogeneri, ognuno con le sue star, il suo pubblico, le sue usanze. E il vero tormentone estivo, quello che non potevi evitare dal mattino fino a notte fonda (alla radio, in tivù, sulla spiaggia, nel traffico, in discoteca, dal juke-box finchè c’erano i juke-box...), diciamo pure che non c’è più.
Forse proprio per questo, è diventato materia di studio. Il francese Peter Szendy, filosofo e musicologo con un curriculum lungo così, ha infatti scritto un saggio (”Tormentoni! La filosofia nel juke-box”, Isbn Edizioni, pagg. 105, euro 12) nel quale si cimenta nell’impresa di «elevare le canzoni al rango di oggetti filosofici per capire che esse, proprio come il denaro per la merce e il desiderio, sono la moneta di scambio delle nostre emozioni». Marx applicato alle canzonette, insomma, e allora si salvi chi può...
«Si possono amare o odiare - scrive Szendy dei tormentoni, che in francese si chiamano ”tubes” -: può capitare di riascoltarli dopo molti anni e di sentirsi rapiti da un’ondata di nostalgica commozione che ci trascina nel passato come se fosse ancora presente; oppure, al contrario, a volte cerchiamo di difenderci con tutte le nostre forze da questo parassita musicale che osa impadronirsi di noi... Non c’è nulla da fare, è come un virus che ci invade, e che certuni chiamano ”tarlo nell’orecchio” (in inglese ”earlworm” - ndr)...». Insomma, vere e proprie macchine di persuasione nate per caso o costruite a tavolino, con l’obbiettivo nemmeno nascosto di sopravvivere a se stesse come un virus potente e indistruttibile.
Da segnalare, nel libro di Szendy, anche una dotta analisi dell’italianissima ”Parole parole parole”, incisa nel ’71 da Mina e Alberto Lupo. «Più si riascolta questa canzone - scrive l’autore - più essa appare come un teatro allegorico a due voci che mette in scena il dialogo tra il Parlato e il Cantato in persona, personificati». Praticamente un tormentone.
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