lunedì 3 agosto 2009

VAN DER GRAAF GENERATOR


Persino dall’Ungheria, con tanto di bandiera, ieri sera in piazza Unità per il concerto dei Van der Graaf Generator. Che in due ore di musica hanno dimostrato che si può avere alle spalle una storia lunga ormai quarant’anni (...!) ma proporre ugualmente suoni e suggestioni di grande attualità.

Il Trieste Rock Festival si è dunque concluso con un grande merito: farci rivedere e risentire - seppur mischiati ad altri esponenti assolutamente minori - alcuni dei maggiori protagonisti della miglior musica, italiana e straniera, degli anni Sessanta e Settanta. Farci insomma sapere ”che fine hanno fatto” quei musicisti che trenta o quarant’anni fa facevano sognare tanti ragazzi dell’epoca.

Ieri sera, con i Van der Graaf Generator, chiamati a chiudere questa sesta edizione della rassegna, a tratti è sembrato che quell’epoca, così ricca di furori creativi, non si fosse mai conclusa. Sì, perchè il cantante e pianista (e chitarrista) Peter Hammill, il tastierista Hugh Banton e il batterista Guy Evans sono fior di musicisti, artisti di razza, capaci ancora di dire la loro a quarant’anni dagli esordi.

C’erano tutti e tre, infatti, in quel nucleo originario del gruppo, che nacque all’università di Manchester. Lo strano nome? Copiato dal Generatore di Van der Graaff, strumento per creare differenze di potenziale elettrico. L’errata trascrizione del nome, con una sola effe, pare sia accidentale.

Un paio di 45 giri nel ’68, il debutto vero e proprio nel ’69 con ”Aerosol Grey Machine”, poi un altro paio di album (”The least we can do is wave to each other” e ”H to he who am the only one”), prima della consacrazione arrivata con un disco intitolato ”Pawn hearts”, uscito nel ’72. Per alcuni anni Hammill, da sempre il leader, alternò l’attività con il gruppo (”Godbluff”, ”Still life”...) all’esperienza solista, prima di dedicarsi completamente a quest’ultima e chiudere la ditta nel ’78.

Pochi anni fa, nel 2004, quando forse nessuno ci sperava più, la reunion. Con a fianco di Hammill sempre il sassofonista David Jackson, che però ha da poco abbandonato la compagnia, e che il pubblico triestino ha visto l’anno scorso, qui al festival rock, ospite nel concerto dei napoletani Osanna.

Ma se qualcuno pensava che i Van der Graaf, senza i sassofoni di Jackson, avessero il fiato corto, ieri sera si è dovuto ricredere. Il ”generatore” pompa ancora grande energia, regala emozioni e suggestioni tuttora degne di nota.

Apertura con ”Interference patterns”, dal nuovo album ”Trisector”, pubblicato lo scorso anno. Ma poi subito indietro nel tempo, con ”Scorched earth” e soprattutto con ”Lemmings” (con il nostro che lascia il piano per la chitarra elettrica), da ”Pawn hearts”. Il concerto, teso vibrante ed emozionante, ha alternato pagine del presente (l’ultimo disco ma anche quello prima, ”Present”) e perle del passato. Come nel finale l’epica ”Man-erg”.

Il magrissimo Hammill, ora che ha passato la boa dei sessanta, si conferma personaggio geniale e controverso. Per lui la musica è sempre stata autoanalisi, percorsi mentali contorti, squarci visionari, forse lucida follia. Evans e Banton fanno la loro parte, e la formazione in trio si rivela molto equilibrata. Grande concerto, altro che reperti del passato.

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