martedì 9 novembre 2010

PARTO DELLE NUVOLE PESANTI

La Calabria povera (e disperata) di oggi, la Magna Grecia ricca e fertilissima di oltre duemila anni fa. E calabresi che girano il mondo, anche per raccontare la storia della loro terra. Stiamo parlando del Parto delle Nuvole Pesanti, il gruppo che ha ereditato il nome dal ”collettivo musicale” formato nei primi anni Novanta a Bologna da una dozzina di studenti calabresi fuorisede, cresciuti nell’orgoglio del loro dialetto e delle loro radici. Mescolando rock e tradizioni musicali popolari.

La settimana scorsa erano in concerto a Budapest, domani alle 18 tengono uno ”showcase” di presentazione dell’album ”Magnagrecia” alla Feltrinelli di Udine, venerdì alle 21 sono in concerto a Trieste, al Teatro Miela. A fine novembre vanno addirittura in Brasile.

Al Miela tornano a cinque anni di distanza dal debutto triestino nello stesso teatro. Quella volta era da poco uscito il loro sesto album, intitolato ”Il parto”, che aveva imposto il gruppo all’attenzione di un pubblico più ampio rispetto all'ambiente folk-rock nel quale aveva mosso i primi passi. Ora, dopo varie esperienze anche teatrali (la piéce ”Slum” nel 2008) e cinematografiche (il film ”I colori dell’abbandono” nel 2009), sono freschi dalla pubblicazione dell’album ”Magnagrecia”, decimo capitolo della loro ormai ricca discografia.

«È un titolo - spiega Salvatore De Siena, componente originario del gruppo - al tempo stesso ironico e triste. Gli dei non ci sono più, cantiamo nel brano, ma sono stati sostituiti indegnamente dagli uomini. La Calabria di oggi è la Magna Grecia di ieri, una civiltà importantissima che è stata spazzata via. Ma ha lasciato un segno nella storia. Per questo speriamo non ci sia rassegnazione ma speranza di riscatto».

Ancora De Siena: «Nei vari brani affrontiamo temi come lo spopolamento dei piccoli centri con la dispersione delle comunità e culture destinate a scomparire. Ma parliamo anche di mafia, ambiente, viaggio, diritto alla terra e alla vita. I testi raccontano storie di paesi abbandonati. Fra suoni elettrici e acustici. Ma soprattutto rovine, gente povera, naufraghi, profughi, emarginati, emigranti e immigrati...».

Attualmente il gruppo è composto da Mimmo Crudo (basso e voce), Manuel Franco (batteria), Salvatore De Siena (grancassa, tamburello, chit elettrica, voce), Amerigo Siriani (mandolino, chitarra elettrica, voce), Antonio Rimedio (fisarmonica e tastiere). E la violinista ungherese Zita Petho, unica componente ”non calabrese” nel gruppo, la cui presenza ha offerto lo spunto per il citato concerto a Budapest.

Nel nuovo album sono ospiti fra gli altri Claudio Lolli (con il quale anni fa il gruppo aveva riletto la storica ”Ho visto anche degli zingari felici” del cantautore bolognese), il trombettista Roy Paci, la cantante iraniana Sepideh Raissadat, la cantautrice statunitense Amy Denio e la Banda di Fiati di Delianuova.

«Anche attraverso queste presenze - conclude De Siena - vogliamo proporre un nuovo modo di guardare il mondo. In un progetto che segna un’evoluzione della band dallo stile che è stato chiamato ”etno-autorale” a quello “rock world music”. Guardiamo alle periferie del mondo con attenzione e interesse, convinti come siamo che la povertà economica non debba assolutamente corrispondere a una povertà culturale. Anzi».

Il concerto triestino è inserito nella rassegna "Spaesati - Eventi sul tema delle migrazioni" e sarà preceduto nel pomeriggio da incontri e proiezioni di documentari, tra cui il ”docuclip” «Magnagrecia».

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