venerdì 28 ottobre 2011

BIG MAMA / MARCO TIRIEMMI


ROMA C’è un pezzetto di Trieste che vive e lotta assieme a noi in un vicolo di Trastevere. Dove? Al Big Mama, locale musicale storico della capitale, fondato e gestito da Marco Tiriemmi, un romano “triestino a metà”, che ha passato gli anni dell’adolescenza nel capoluogo giuliano, dove ha ancora molti amici e torna quando può.

«Abbiamo aperto il 30 marzo 1984 - ricorda Tiriemmi, 51 anni -. L’idea era quella di un locale che a Roma non c’era, di respiro internazionale. Gli anni di piombo erano finiti, le star tornavano in Italia. Ma qui mancava un luogo per i tanti artisti blues e jazz che giravano i club europei».

Perchè questo nome?

«Big Mama è un’espressione che contiene un po’ tutto: la cultura afroamericana, il rapporto conflittuale con la maggioranza bianca, l’autoironia con cui i neri si affibbiano soprannomi. E poi mamma è un’espressione rassicurante, protettiva, in linea con cultura e tradizioni nostrane. Insomma, “suona” blues e al tempo stesso familiare».

I primi artisti che hanno suonato da voi?

«Le prime stagioni sono state ricchissime di personaggi di livello, alcuni dei quali ormai scomparsi. Fra i jazzisti Elvin Jones, Betty Carter, Lee Konitz, Chet Baker, Joe Zawinul, Dewey Redman, Bill Frisell, Trilok Gurtu, Dee Dee Bridgewater. Nel blues e dintorni Jimmy Smith, Jorma Kaukonen, John Hammond, Jimmy Whiterspoon, Luther Allison, Dr. Feelgoog, Nine Below Zero, Brian Auger. E Louisiana Red, che da oltre vent’anni suona qui per Capodanno».

I nomi più importanti?

«Gli italiani Pino Daniele, Teresa De Sio, Edoardo Bennato. E abbiamo lanciato Alex Britti, Giorgia, Federico Zampaglione dei Tiromancino, Niccolò Fabi, Max Gazzé, Lillo e Greg».

Stranieri?

«Elvis Costello, Brian May, Peter Frampton, Dan Aykroyd, Jeff Healey, Arlo Guthrie, Noel Redding, Buddy Miles, Mike Stern & Bob Berg, la Soul General Band (cioè l’orchestra di James Brown) con Maceo Parker».

A chi è rimasto più legato?

«Tutti ci hanno lasciato qualcosa. Noel Redding un gran senso di umanità, Bob Berg un’incredibile energia vitale, Dewey Redman una cultura musicale straordinaria. Tutti il rispetto per arte e cultura, due elementi di cui l’uomo non può fare a meno, a meno di non voler regredire».

L’artista che avrebbe voluto ospitare?

«Tanti, troppi per elencarli. Avrei voluto conoscere da vicino alcuni di quelli che sono scomparsi, Jimi Hendrix e Miles Davis su tutti».

Qualche guaio?

«Con Chet Baker. La sera prima del concerto, arriva a Fiumicino e viene fermato dalla polizia. Quando all’alba del giorno dopo arrivo con l’avvocato, Chet è già stato rilasciato: non aveva fatto nulla, ma aveva precedenti per i noti problemi di droga. Quella sera suonò alla grande, con un pianista italiano poi scomparso, Luca Flores. L’episodio generò un forte legame con il jazzista, con cui restammo in contatto fino alla sua scomparsa nell’89 ad Amsterdam».

E lo scherzo di Mina?

«Roberto Gatto e Massimo Moriconi erano diventati la sua sezione ritmica preferita alla fine degli anni Ottanta. Quando Moriconi partì per Lugano, per registrare “Ti conosco mascherina”, gli chiedemmo di portarle i nostri saluti e un piccolo regalo, un portacenere di ceramica realizzato dai detenuti di un carcere minorile, con cui eravamo in contatto tramite alcuni educatori. Era un modo per renderle omaggio e stabilire un contatto. Lei apprezzò e per un intero pomeriggio provò a contattarci al telefono, per presentarsi come “una giovane cantante che vuole suonare nel vostro club. A chi devo mandare un nastro per propormi?” Ma la linea era sempre occupata, e non erano ancora tempi di cellulari o e-mail. Ci rimane una foto, con la firma e due baci stampati sopra, che la grande Mina ci ha voluto inviare».

Com'è cambiata la scena musicale in questi anni?

«La musica, i suoi linguaggi, i suoi strumenti sono in continua evoluzione, quindi i cambiamenti sono tanti. Non sono cambiate le emozioni che la musica dal vivo genera in chi la ascolta. Resta un momento unico, irripetibile e proprio per questo speciale anche per chi si approccia alla musica per la prima volta».

Trieste?

«E’ sempre nel mio cuore. Ci ho passato anni importanti, quelli della formazione. La mia passione per la musica nasce in un negozietto di dischi che stava in via Udine, con gli scambi di 45 giri alla scuola media Brunner di Roiano, al liceo Dante. Quando posso ci torno sempre volentieri. Magari d’estate, per poi proseguire verso qualche sperduta isoletta della Dalmazia».

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