martedì 11 ottobre 2011

IMAGINE, 40 ANNI FA


«Imagine there's no heaven, it's easy if you try, no hell below us, above us only sky. Imagine all the people, living for today...». Quante volte l’avete sentita, quante volte l’avete canticchiata. Forse non sapete che sono passati quarant’anni.

Era l’ottobre del ’71. I Beatles si erano sciolti ufficialmente un anno e mezzo prima, nell’aprile del ’70. Agli inizi dell’anno John Lennon aveva pubblicato il singolo “Power to the people”, brano duro e corale che sarebbe diventato un inno della sinistra americana e dei manifestanti pacifisti contro la guerra del Vietnam.

Poi, l’11 ottobre del ’71, prodotta da Phil Spector, “Imagine” uscì - come singolo e in apertura dell’omonimo album - prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. E la sensazione fu quella di trovarsi dinanzi a una di quelle canzoni in grado di segnare un’epoca, se non di cambiare il mondo, impresa decisamente troppo ardua per una composizione di parole e musica.

Quel testo che diceva: «Immagina non ci sia il paradiso, prova, è facile. Nessun inferno sotto i piedi, sopra di noi solo il cielo. Immagina che la gente viva al presente. Immagina non ci siano paesi, non è difficile. Niente per cui uccidere e morire. E nessuna religione. Immagina che tutti vivano la loro vita in pace...».

Ritornello: «Puoi dire che sono un sognatore, ma non sono il solo. Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno». Seconda strofa: «Immagina un mondo senza possessi, mi chiedo se ci riesci. Senza necessità di avidità o fame. La fratellanza tra gli uomini. Immagina tutta le gente condividere il mondo intero...». E poi di nuovo il ritornello, nella classica struttura della forma canzone.

Lennon l’aveva scritta dopo la separazione dagli altri tre Beatles, dimostrando che la sua miglior stagione creativa non si era conclusa con il divorzio da Paul McCartney. E con quel brano-capolavoro, l’artista agguantò per la seconda volta l’immortalità in vita. La prima, quand’era stato - con l’alter ego creativo McCartney, ma anche con George Harrison e Ringo Starr - l'eccezionale protagonista di quell'avventura chiamata Beatles, che in soli otto anni di produzione discografica, dal '62 di “Love me do” al '70 di “Let it be”, avrebbe mutato radicalmente musica, costume e se vogliamo anche cultura della seconda metà del Novecento.

Il passo decisivo sull'ardua via dell'immortalità, quasi paradossalmente, pochi anni dopo fu incontrare sulla propria strada il folle Mark David Chapman, i cui colpi di pistola lo colpirono dinanzi al Dakota Palace, la sua abitazione newyorkese affacciata su Central Park, la sera dell'8 dicembre del 1980. Aveva appena compiuto quarant'anni. Divenne “forever young”, per sempre giovane. Quasi immortale, appunto.

Dei quattro, Lennon era forse il più creativo e il più geniale, di certo il più carismatico e trasgressivo e anche politico, in anni in cui il mondo sembrava dovesse cambiare radicalmente di lì a poco. Parlava spesso di rivoluzione. Forse senza sapere che l'unica rivoluzione possibile nella storia recente del nostro mondo - di nuovo: nella musica, nel costume, nella cultura - aveva fortemente contribuito a farla proprio lui. Con i dischi dei Beatles ma anche con quella canzone, “Imagine”, che fa parte della ristretta schiera di quelle che in qualche modo riscrivono la storia della musica e del mondo. Versi che tutti conoscono, che tutti hanno canticchiato almeno una volta.

Lennon li scrisse mentre gli Stati Uniti e il mondo erano scossi dalla protesta contro la guerra in Vietnam. Nel marzo del ’69, con Yoko Ono, aveva organizzato un “bed-in” all’Hilton Hotel di Amsterdam. Una protesta pacifista, la coppia che rimase a letto per una settimana, ricevendo giornalisti e fotografi, che si trovarono dinanzi i due in pigiama, che rilasciavano interviste e dichiarazioni sulla pace nel mondo e contro le spese militari.

«Marciare - disse quella volta Lennon - andava bene per gli anni Trenta. Oggi bisogna usare metodi diversi. Tutto ruota intorno a una sola cosa: vendere, vendere, vendere. Se vuoi promuovere la pace, devi venderla come se fosse sapone. I media ci sbattono continuamente la guerra in faccia: non soltanto nelle notizie ma anche nei vecchi film di John Wayne e in qualsiasi altro dannato film; sempre e continuamente guerra, guerra, guerra, uccidere, uccidere, uccidere. Così ci siamo detti: Mettiamo in prima pagina un po’ di pace, pace, pace, tanto per cambiare... Per ragioni note soltanto a loro, i media riportano quello che dico. E ora sto dicendo “Pace”...».

“Imagine” fu figlia di quella stagione, di quell’impegno. Struttura musicale semplice (la semplicità difficile a farsi...), l’intro al pianoforte, la voce suadente di John. E poi quel testo, quelle parole che sembrarono un ideale manifesto del pensiero del futuro, una sorta di sogno pochi anni dopo quello di Martin Luther King.

Immaginare un mondo senza guerre, senza uccisioni, con la gente che vive in pace. Immaginare un mondo senza religioni e senza bandiere, ma anche senza possessi, dove ognuno può avere quel che gli serve, dove tutti condividono tutto. Lo stesso Lennon ammise che il testo era più vicino al Manifesto del partito comunista che a un inno alla pace. «Il brano - disse una volta - è antireligioso, antinazionalista, anticonvenzionale e anticapitalista, e viene accettato solo perché è coperto di zucchero».

La rivista Rolling Stone lo ha piazzato al terzo posto fra i brani migliori di sempre (dopo “Like a rolling stone” di Bob Dylan e “Satisfaction” dei Rolling Stones). Ma una dozzina d’anni fa, quando nell'eccitazione di fine millennio a qualcuno venne in testa di decretare tramite sondaggio “la canzone del secolo”, non ci furono dubbi: vinse “Imagine”.

Parole e musica che sono entrate nella vita di milioni di persone. E dunque nella storia. La storia di tutti noi.

Nessun commento:

Posta un commento