domenica 16 ottobre 2011

JESUS CHRIST SUPERSTAR 40


Nell’ottobre del ’71, Papa Ratzinger aveva 44 anni ed era da poco diventato professore ordinario di teologia dogmatica e storia dei dogmi all'Università di Ratisbona. Fu molto colpito da una notizia che arrivava da New York.

In un teatro di Broadway era infatti andata in scena la prima di “Jesus Christ Superstar”, un musical rock composto da Andrew Lloyd Webber e scritto da Tim Rice sull’ultima settimana di vita di Gesù raccontata dal punto di vista di Giuda Iscariota.

Approccio al tema assai laico. Lo spettacolo comincia con l’arrivo di Gesù a Gerusalemme e si conclude con la sua crocifissione. Indagando sulla sua figura non come essere divino ma come essere umano. I dubbi di Giuda sono in primo piano. Ben espressi dalla frase: «You really do believe this talk of God is true?» (qualcosa come: credi veramente che queste voci su Dio siano vere?).

A Broadway il musical rimane in cartellone per diciotto mesi, nel ’72 debutta a Londra, dove le repliche durano per otto anni (rimane il quinto spettacolo teatrale più longevo nel Regno Unito). Nel frattempo “Jesus Christ Superstar” è diventato anche un film e ovviamente un disco, un album doppio con tutte le musiche e le canzoni riadattate per l’occasione.

Le riprese del film, pensato inizialmente per incentivare la diffusione dello spettacolo nei teatri stranieri, vennero effettuate nei dintorni di Betlemme e dirette dal regista Norman Jewison, con Ted Neeley nel ruolo di Gesù, Carl Anderson a interpretare Giuda e Yvonne Elliman - la stessa attrice e cantante del musical teatrale - nel ruolo di Maria Maddalena.

All’uscita nelle sale, nel ’73, il successo è enorme. E il film diventa una sorta di manifesto generazionale per i giovani contestatori del dopo Sessantotto. Secondo alcuni, anche una sorta di addio alla stagione degli hippies e del “flower power” californiano.

Ma non tutti sanno che Lloyd Webber (accusato da alcuni musicisti di aver tratto atmosfere e riferimenti in maniera evidente da opere di artisti classici, come nel brano “Gethsemane, I only want to say”, la cui struttura si rifà a quella del “Lamento della ninfa” di Claudio Monteverdi) e Rice avevano in mano il progetto già da qualche anno. L’azione scenica del teatro assieme all’energia esplosiva del rock, applicate a un tema universale come quello della figura del Cristo, analizzata da un punto di vista non spirituale ma umano. Roba forte, insomma.

Ma nonostante il rock e gli hippies e tutto il resto, nel ’69 i due autori hanno già incassato diversi “no grazie” da vari impresari teatrali. Quando il loro manager riesce a ottenere una rappresentazione a Broadway, quasi non ci credono. E non si lasciano abbattere dalle prime critiche poco favorevoli, che dopo poche rappresentazioni lasciano il campo a un successo poi andato al di là delle più ottimistiche previsioni.

Forte di questi primi consensi, Rice si fa sotto con l’industria cinematografica, sempre più convinto della forza del progetto. I produttori della Universal Picture all’inizio mostrano lo stesso scetticismo suscitato negli impresari teatrali qualche anno prima. Ma le musiche piacciono, eccome se piacciono. Convincendo i cervelloni della major - e soprattutto i loro finanziatori - che quel “Jesus Christ formato rockstar” potrebbe diventare, absit iniuria verbis, una vera gallina dalle uova d’oro, per un’industria discografica che aveva messo nel mirino i giovani come potenziali acquirenti.

Il progetto viene dunque sviluppato su due piani paralleli. Prima il disco, affidato al manager Brian Brolly della Mca Records, poi il film. A una condizione: che l’album fosse stato in grado di replicare il successo del musical. Cosa che puntualmente avvenne, dopo che la premiata ditta Lloyd Webber e Rice riuscì a trasformare il musical in una vera e propria “rock opera”.

Orchestra diretta da Andre Previn, formazione rock guidata dalle tastiere di John Lord (dei Deep Purple), coro e interpreti principali. Risultato: un “progressive rock” di buona fattura, pronto per entrare nelle case dei ragazzi di mezzo mondo.

Ma torniamo a quell’ottobre di quarant’anni fa. Il successo planetario di un’opera dall’approccio così laico suscitò molte polemiche. Disturbavano soprattutto i dubbi che venivano insinuati sulla divinità del Cristo, metteva a disagio l’eccessiva attenzione alla figura e al pensiero di Giuda. Tentò di spiegare Tim Rice: «Il fatto è che noi non vediamo Cristo come Dio ma semplicemente come l’uomo giusto, al momento giusto e nel posto giusto». Non fu sufficiente. In Sudafrica l’opera fu bandita perchè considerata antireligiosa. In Lituania, il giorno di Natale del 1971, le autorità sovietiche intervennero a bloccare il musical.

Alcune chiese cristiane parlarono apertamente di opera blasfema (anche per la figura di Maria Maddalena, palesemente innamorata di Gesù nel brano “I don't know how to love him”, non so come amarlo), mentre la comunità ebraica giudicò antisemita la rappresentazione del ruolo del loro popolo nella crocifissione, con la folla che incita all’uccisione di Gesù. Attacchi giunsero anche dalla politica, dai partiti più tradizionalisti. Mentre, quasi a sorpresa, la chiesa cattolica diede il suo appoggio all’opera.

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