mercoledì 6 novembre 2013

GLAMOUR, IL NUOVO DISCO DEI CANI

Difficile orientarsi, nel marasma della musica italiana. Sempre più divisa fra vecchie star che spesso vivono di rendita e nuovi progetti, personaggi, artisti, gruppi troppo spesso evanescenti. Da una botta e via, se va bene e se ci è concesso l’ardire. Fra quelli che si salvano (con Baustelle, Vasco Brondi, pochissimi altri), da un paio d’anni ci sono i Cani. Nell’estate 2001 incuriosirono e sorpresero le orecchie più attente e le intelligenze meno cloroformizzate con un esordio col botto: s’intitolava «Il sorprendente album d'esordio dei Cani». Fra “pariolini di diciott’anni” e “pranzi di Santo Stefano”, sullo sfondo di un “theme from the cameretta”, rigorosamente a “Roma nord”, scoprimmo che non si trattava di un gruppo ma di una sorta di “one man band”, costruita attorno all’eclettica figura dell’allora venticinquenne romano Niccolò Contessa. Che comunque dal vivo, due anni fa di questi tempi anche a Trieste, si faceva accompagnare da un gruppo vero e proprio. E nei primi tempi si presentava mascherato con un sacchetto di carta in testa, un po’ alla maniera dei Tre allegri ragazzi morti. Sono passati due anni, e quel che allora sembrava quasi impossibile («Questo disco è talmente particolare che è difficile immaginarsi altre trecento canzoni fatte così. Meglio, non mi interesserebbe neanche farle...», disse Contessi due anni fa proprio al nostro giornale), è diventato realtà. “Glamour” (42records) è il secondo album dei Cani. Dodici brani nuovi (compresa la ghost track finale, dal titolo “2033”) che intanto mettono a tacere alcune critiche all’album di esordio, cioè che i brani fossero un po’ tutti simili, quasi con un marchio di fabbrica. Ora, con la collaborazione in studio di Enrico Fontanelli degli Offlaga Disco Pax, Contessi riprende solo in parte le suggestioni del disco precedente e preferisce - saggiamente - guardare al futuro. “Corso Trieste”, “Storia di un artista” e “Non c’è niente di twee” fanno parte del gruppo, diciamo così, riconoscibile. “Roma Sud” e “Theme from Koh Samui” sono invece due brani strumentali: esperimenti sonori che aprono praterie alla creatività. “Storia di un impiegato”, che cita esplicitamente Fabrizio De Andrè, sta in mezzo. E affonda il pedale nell’autoironia: «Considerato che non sono un artista, e con le velleità non ci si vive, mi ritrovai con un lavoro vero, uno di quello proprio senza glamour». Fare un secondo album sulla falsariga del debutto, per i Cani, sarebbe stata cosa semplice e forse remunerativa. Qui invece c’è il coraggio di andare avanti, se necessario rischiare, azzardare in definitiva uno scenario almeno in parte nuovo. E di questo la musica italiana ha bisogno come l’aria.

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