mercoledì 6 novembre 2013

RAPHAEL GUALAZZI stasera a trieste, rossetti

«È successo tutto così in fretta che a volte non me ne rendo ancora conto. A febbraio saranno tre anni dalla mia vittoria a Sanremo Giovani, poi l’Eurofestival, i dischi, i tour, di nuovo Sanremo quest’anno...». Raphael Gualazzi stasera alle 21 porta il suo nuovo spettacolo al Rossetti di Trieste. L’Happy Mistake Tour - dal titolo dell’ultimo album - è cominciato a febbraio, subito dopo il Festival, e non è ancora terminato. Anzi... «Quest’estate - spiega l’artista, nato a Urbino, classe ’81 - abbiamo fatto molte tappe in Europa. Francia, Svizzera, Spagna, oltre ovviamente all’Italia. A ottobre eravano a Londra, il 29 novembre saremo al Montecarlo Jazz Festival. E nell’anno nuovo Germania, Austria, ancora Svizzera...». All’estero il pubblico come la accoglie? «Sempre con molto affetto. Anche perchè le radici a cui mi ispiro, cioè il jazz e il blues, al netto di tante contaminazioni, hanno come matrice comune il divertimento. Che è un elemento in grado di unire il pubblico a ogni latitudine. Soprattutto in tempi di crisi come quelli che viviamo». Lei nasce come jazzista, ha fatto studi classici e ha fatto il botto a Sanremo. «È vero, può sembrare strano. Ho studiato pianoforte al Conservatorio di Pesaro, il jazz e il blues sono sempre stati la mia grande passione. Ho fatto tanta gavetta, ma quando si è presentata l’occasione del Festival non ci ho pensato due volte: Sanremo è una grande vetrina, un’occasione unica per entrare nelle case della gente, soprattutto per un musicista agli inizi». Una scelta che le è costata compromessi? «Direi di no. Sanremo mi ha portato visibilità, opportunità di lavoro, l’attenzione del pubblico. Del resto io, pur partendo da basi classiche e dalla passione per il jazz, non ho mai posto barriere, non ho mai rifiutato la musica popolare. E poi non dimentichiamolo: lo stesso jazz nasce come musica popolare». Prima ha accennato alle contaminazioni. «Per me sono fondamentali. Fra i vari generi musicali non devono esistere barriere, tutti devono parlare, interagire con tutti. E poi, parlo per il mio caso ma sono convinto che il discorso non vale solo per me, “mischiarsi” ha un effetto benefico per tutti gli stili e anche per i vari tipi di pubblico». Lei ama rileggere brani altrui. «Assolutamente. Sono convinto che ogni brano, ogni canzone possa avere al suo interno varie sfaccettature, varie atmosfere, vari colori. Tutto sta a farli venire fuori». Cosa ascolta in questo periodo? «Molto rhythm’n’blues, in questi giorni ascolto tanto Al Green. Sugli italiani non nascondo di essere un po’ ignorantello, devo approfondire. Ma mi levo idealmente il cappello davanti al grandissimo Fabrizio De Andrè». Cosa presenta a Trieste? «Rivisito con arrangiamenti nuovi i brani di “Reality and fantasy”, il mio album d’esordio, al quale devo molto. Non posso ovviamente saltare i pezzi del disco nuovo, “Happy mistake”. Poi faremo degli omaggi strumentali alla grande musica italiana, da Verdi al tema di “Amarcord”». Niente blues? «Ma sta scherzando...? Ho la fortuna di suonare con un’orchestra di nove musicisti, compresa una bella sezione di fiati. Con la quale i classici del blues vengono che è una bellezza». A Sanremo ci torna? «Non lo so, per ora non ho il brano giusto. E quello è un palco che merita di essere calcato solo se hai il brano giusto...».

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