mercoledì 13 novembre 2013

MARTA SUI TUBI ven a Trieste, teatro Miela

Dieci anni sulla scena off, fra gli alternativi “duri e puri”, poi un giorno vai a Sanremo e la tua storia cambia. È quanto successo al gruppo Marta sui Tubi, il cui tour arriva venerdì alle 21.30 a Trieste, per un concerto al Teatro Miela. «Questo per noi è stato davvero un anno speciale - conferma Giovanni Gulino, cantante nella band, classe 1971 -, per la partecipazione al Festival ma non solo per quello. L’album “Cinque, la luna e le spine” è andato molto bene. Il Concertone del Primo maggio e il tour, che non è ancora finito, anche meglio...». Ma come siete finiti a Sanremo? «Perchè a un certo punto ci siamo trovati davanti a un bivio. Dopo dieci anni di carriera, quello era l’unico modo per intercettare un pubblico diverso e più ampio. È inutile far finta: ogni artista vuol essere conosciuto da un pubblico più ampio possibile. Altrimenti non ti lamenti e resti nelle cantine. O sotto i portici di Bologna, dove suonavamo io e Carmelo Pipitone all’inizio». Racconti. «Entrambi originari di Marsala, come tanti meridionali eravamo a Bologna per studiare. La sera suonavamo in centro, sotto i portici, nei dintorni di piazza Maggiore. Chitarre e voci. Pezzi di Jeff Buckley, Radiohead, Piero Ciampi. A volte qualche canzone nostra». Poi, una sera... «Dopo che per mesi avevamo suonato gratis, o al massimo per una birra pagata nel pub più vicino, si avvicina un tipo che ci chiede se volevamo suonare nel suo locale. D’accordo, gli diciamo senza nemmeno pensarci su». E che succede? «Innanzitutto che il tipo ci chiede come ci chiamiamo. Ovviamente il duo non aveva un nome, eravamo semplicemente Giovanni e Carmelo. Che però per cominciare una carriera non ci sembrava il massimo. Dunque ci siamo inventati questo “Marta sui Tubi”: doveva essere un nome provvisorio, ma ci ha portato fortuna e lo abbiamo mantenuto, anche quando la band si è allargata ed è arrivato il primo contratto discografico. E poi tutto il resto». Torniamo a Sanremo 2013. «Sì, per noi è il paradigma di come dovrebbero andare le cose. Abbiamo mandato il “file” con due canzoni, seguendo le istruzioni lette sul sito. A Fazio sono piaciute, ci ha chiamato, siamo andati e stop». I vostri fan erano spiazzati? «Non credo. Nel bene e nel male Sanremo è la cosa più grossa che puoi fare in Italia nel campo della musica. Avevamo l’esigenza di allargare la nostra platea. Diffidiamo dagli artisti duri e puri. Proprio non volevamo “morire di nicchia”...». Le cose sono cambiate? «Assolutamente sì. In dieci anni di carriera, nonostante le collaborazioni importanti, anche con Lucio Dalla ed Enrico Ruggeri, praticamente non avevamo fatto tivù. E non passavamo nei grandi network radiofonici. Solo circuiti indipendenti e più o meno alternativi. Dopo il Festival il nostro pubblico si è allargato, il tour è andato e sta ancora andando molto bene». Insomma, vi state togliendo delle soddisfazioni. «Siamo convinti che alcune nostre canzoni, alcuni nostri dischi avrebbero meritato maggior fortuna. Avere un pubblico ristretto era un po’ il nostro cruccio. Siamo felici di averlo allargato senza tradire noi stessi. Per andare a Sanremo, infatti, non abbiamo proposto canzoni diverse dalle nostre solite». Come “Dispari”. «Sì, quella che non è passata. Peccato, perchè tenevamo molto a quella riflessione: il computer che ti mette in relazione col mondo, ma in fondo ti lascia solo. Si parlava di più quando la comunicazione non era virtuale...».

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