domenica 12 febbraio 2006

Il Teatro Verdi è sempre più nella bufera. E la città, come da sua consolidata tradizione, sonnecchia. Guarda da un’altra parte. Non si rende conto, forse, che l’attuale crisi - economica, gestionale, di immagine - è molto più grave di quelle passate. Perchè stavolta, in gioco, c’è la stessa sopravvivenza di una programmazione lirica degna di questo nome. Il problema dei tagli ai fondi pubblici per lo spettacolo è ovviamente nazionale. Ma produce effetti diversi nelle varie realtà. «Attualmente sto lavorando alla Fenice ne ”I quattro rusteghi” - fa notare il cantante triestino Nicolò Ceriani - e devo dire che qui a Venezia tutta la città si è stretta attorno al suo teatro. Comune, Provincia e Regione hanno integrato le risorse mancanti dopo i tagli al Fus. Ma c’è stata anche una sottoscrizione pubblica attraverso il Gazzettino. A Trieste sembra invece che la crisi non interessi a nessuno. Gli abbonati, molti dei quali anziani, non si rendono conto della situazione...».
«Peccato - conclude Ceriani - perchè il Verdi era fra i migliori teatri italiani. E ora siamo al punto che a qualcuno viene chiesto il ”favore personale” di cantare gratis, pur di far sopravvivere il Festival dell’Operetta...».
«I finanziamenti pubblici sono necessari alla sopravvivenza di un teatro lirico - dice Alessandro Pace, musicista e docente -, e se vengono tagliati bisogna aver l’intelligenza di guardare altrove, al privato, agli sponsor. Di certo è difficile pensare a un’attività ridotta. Meglio una gestione più attenta delle risorse, perchè nomi come quello di Oren portano prestigio, ma anche costi molto alti...».
«Penso che il Verdi soffra di un’eccessiva burocratizzazione - aggiunge Maria Rosa Pozzi, anche lei musicista e docente -, col passare degli anni è diventata una struttura troppo grande, quasi elefantiaca, senza un equilibrio, dove i pareri artistici si intrecciano a quelli tecnici, mentre ognuno dovrebbe fare solo la sua parte. Oren e Pacitti? Si può fare senza...».
Un altro che approva la recente decisione di licenziare direttore musicale e direttore artistico è il compositore Giampaolo Coral: «In un clima di zizzania non si può lavorare. Troppe scelte in questi anni sono state dettate dalla politica. I cui esponenti non capiscono che non basta riempire il teatro: sono necessarie scelte più coraggiose, e invece manca il rinnovamento. Le scelte più recenti non sono all’altezza della grande tradizione del Verdi, che merita una mentalità più moderna...».
Da Milano interviene il critico d’arte Gillo Dorfles: «Sono un vecchio loggionista del Verdi, dove negli anni Trenta non mi perdevo un’opera di Wagner. Soffro per le difficoltà del teatro, che ha una storia da difendere e speravo rilanciato dopo il coraggioso restauro. Sono gravi questi tagli alla cultura, che sembra l’ultima preoccupazione dei nostri governatori e amministratori. E invece la cultura è un settore che potrebbe essere anche redditizio, come sanno bene in Spagna, da dove sono appena tornato...».
«Ma nella lirica non si può pretendere che i conti tornino - fa notare lo scrittore e regista Furio Bordon -, è chiaramente un’attività antieconomica, coperta all’80 o 90 per cento dai sovvenzionamenti pubblici. Basti pensare che una poltrona al Verdi, a prezzo di mercato, senza sovvenzionamenti, dovrebbe costare 500 euro. E una al Rossetti almeno cento. Però una città, un paese hanno bisogno della cultura, senza investimenti culturali una comunità non cresce. È una scelta che va fatta...».
«La crisi è generale - ricorda da Roma il critico cinematografico Callisto Cosulich - i tagli hanno colpito tutti i settori dello spettacolo. Certo che i teatri lirici ne soffrono maggiormente, perchè vivono quasi interamente sui contributi pubblici. E al Verdi, con tutta quella rotazione di sovrintendenti e direttori artistici e musicali, non hanno di certo migliorato la situazione. Ma il teatro lirico è una grande tradizione italiana, amata ed esportata all’estero. È una delle manifestazioni più tipiche dell’arte italiana, che andrebbe curata come le statue di Michelangelo o le rovine di Pompei, e potrebbe avere anche dei ritorni in chiave turistica...».
Una voce dall’interno del teatro è quella di Giulio Ciabatti, direttore di scena e assistente alla regia. «Lavoro al Verdi da vent’anni. Quando ho cominciato c’era la metà dei dipendenti attuali ma si facevano dodici opere per stagione. Oggi vedo un teatro investito da mille polemiche, dove non c’è dialogo e ci si parla per vie legali. Certo, la crisi è nazionale e investe anche gli altri teatri. Ma i tagli potrebbero finalmente portare a una redistribuzione delle risorse, a una riprogrammazione sulla base delle risorse disponibili. In Italia operano tante realtà teatrali, anche piccole, che dovrebbero essere messe nelle condizione di produrre, oltre che ospitare le produzioni altrui».
Secondo Ciabatti, al Verdi ci sono stati troppi cambi ai vertici, è mancata una linea di indirizzo certa. «Ieri c’era il Verdi, oggi c’è il teatro di questo o di quello. C’è troppo desiderio di protagonismo, troppi proclami. Il discorso sulla Mitteleuropa, per esempio, non è mai stato calato nella realtà. Siamo andati in tournèe in Giappone, ma in Slovenia, Croazia, Austria abbiamo avuto solo delle presenze episodiche. È necessario un dialogo col pubblico, con le realtà vicine, serve un rilancio regionale. Confrontarsi con il passato del teatro non significa solo ricordarne le antiche glorie, ma anche l’organizzazione che c’era fino a quindici anni fa...».
«Le figure carismatiche - conclude Ciabatti - non risolvono i problemi di un teatro, che è fatto del lavoro quotidiano di tanta gente e non di singoli eventi. In un teatro serve un manager che sappia fare i conti e un direttore artistico attento a ciò che avviene nel mondo, magari alla ricerca costante di voci nuove, di nuovi talenti. E poi si può rinascere. Guardiamo la Scala: con l’uscita di Muti sono stati risolti molti problemi. Quest’anno sono in crescita di attività e di abbonati...».
L’ultima parola a Claudio Magris: «Premesso che ogni opinione deve fondarsi su una valutazione globale di dati tecnici, che io non possiedo - ignoro ad esempio se e quali tagli siano stati inflitti ad altri teatri italiani, dalla Scala ad altri più modesti ma sempre essenziali nella vita di un Paese - e premesso dunque che la mia opinione è quella irrilevante di un non competente, sono dolorosamente colpito e preoccupato di queste misure».
«C'è una diffusa mania - conclude lo scrittore - di operare tagli finanziari nel campo della cultura, dissennata in generale e non solo per il Teatro Verdi. Sembra sia scattato una sorta di delirio autopunitivo nel tagliare tutto ciò che non pare avere un'utilità immediata. Il Teatro Verdi è un'istituzione centrale di Trieste. L'idea che possa chiudere o essere di fatto smantellato è un disastro».

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