domenica 26 marzo 2006

Radio Sound, trent’anni fa. E non sembra ieri. Era infatti il 1976, anno di governi pentapartiti Moro e Andreotti, di elezioni politiche anticipate (con Montanelli che invita a «turarsi il naso»...), del Pci di Berlinguer quasi al sorpasso sulla Dc di Zaccagnini, di Craxi nuovo segretario del Psi dopo il congresso del Midas.


L’anno del terremoto in Friuli e della nube tossica di Seveso, ma anche di Peppino Di Capri che vince Sanremo e del Torino che si aggiudica lo scudetto. A Trieste è l’anno delle 65 mila firme contro il Trattato di Osimo, l’era del sindaco Spaccini sta per essere spazzata via dall’esplosione della Lista per Trieste, Basaglia lavora per la chiusura del manicomio.
Il monopolio statale sulle trasmissioni radiotelevisive sta cadendo, sull’onda delle tante emittenti che nascono in tutta Italia ma soprattutto grazie alla sentenza della Corte Costituzionale che apre una nuova era. Si passa dalle radio pirata a quelle libere e subito dopo a quelle private.
Trieste, al solito, arriva con calma. Il monopolio di Rai e Capodistria qui viene rotto per primo da una certa Radio Regione. Poco più di un tentativo. Perchè quella che si afferma prepotentemente in città è Radio Sound, primo giorno ufficiale di trasmissioni 29 marzo 1976, sulle mitiche frequenze dei 102.
«Ero un appassionato di musica ed elettronica - ricorda Corrado Savio, uno dei quattro fondatori di Radio Sound, all’epoca poco più che ventenne -, avevo una certa dimestichezza con ampificatori, giradischi, mixer. E sentivo delle prime ”radio pirata” che nascevano in Italia. Con tre amici, Giuliano Guidi, Silverio Giurgevich e Marino Descovich, decidemmo di provarci anche noi. La fase di studio durò sei mesi, fra problemi tecnici, logistici e naturalmente economici...».
Nasce subito un buon gruppo di collaboratori, tutti giovani e abbastanza entusiasti. Si lavora ovviamente gratis. Divisi in due «fazioni»: i cosiddetti musicali e i sedicenti giornalisti. Ai primi la gestione dei programmi di musica rigorosamente specializzata, ai secondi notizie e sport.
«Sì, c'erano quasi due partiti - dice Furio Baldassi, oggi giornalista del ”Piccolo” - da una parte quelli schierati sulla musica senza compromessi, che ti proponevano assoli di chitarra di dieci minuti a qualsiasi ora; dall'altra la redazione, più flemmatica e schierata su posizioni musicali più conservatrici (Battisti, Baglioni, i Pooh...). Gli sfottò si sprecavano...».
«Ricevetti una telefonata da un amico - ricorda Giovanni Marzini, oggi caporedattore della Rai regionale - a febbraio del ’76. Mi diceva di quest’idea, del fatto che stavano già trasmettendo in via sperimentale, cercavano un supporto giornalistico e pensarono a me, che all'epoca collaboravo con la redazione sportiva del ”Piccolo”. In una settimana nasceva una pseudo-redazione che si impegnava a garantire prima qualche notizia e poi qualche notiziario in mezzo a tanta musica...».
«Ci sentivamo dei pioneri - sottolinea Savio - il terreno su cui ci muovevamo era vergine, il paragone non erano Rai o Capodistria, il nostro riferimento era Radio Luxemburg, soprattutto per quanto riguardava la programmazione musicale, totalmente innovativa...».
Difficoltà economiche, si diceva. Ma anche tecniche. Bisognava organizzare la raccolta pubblicitaria, stante la volontà di essere indipendenti dai partiti. E far arrivare il segnale dappertutto, in una città «orograficamente difficile». Baldassi ricorda ancora «notti insonni in macchina, con l'autoradio accesa, a cercare di capire se ci sentivano a Borgo San Sergio o a Chiarbola...».
Ancora Baldassi: «Capimmo che stavamo ingranando quando hanno cominciato ad arrivare telefonate ”a nastro”. In certi casi si improvvisavano trasmissioni alle tre di notte e c'era chi immediatamente telefonava, segno che la radio era accesa costantemente sui 102. Poi, la diretta sul terremoto del maggio ’76 in Friuli ha marcato il definitivo salto di qualità. A quel punto ci conoscevano tutti...».
Già, il terremoto in Friuli. Una sorta di esame di maturità per chi aveva appena cominciato. «La notte del terremoto - ricorda Enzo Angiolini, oggi architetto - io e Marzini abbiamo cominciato a raccogliere informazioni, soprattutto dai radioamatori, e a diffonderle traquillizzando gli ascoltatori, che pensavamo pochi, invitandoli ad andare in luoghi aperti e lontani da pericoli di crolli. A mezzanotte le piazze della città erano piene di gente, e molti sentivano Radio Sound. Fu allora che capii la grande responsabilità di dare notizie alla radio...».
«Sì, ricordo bene quel 6 maggio del terremoto - aggiunge Marzini -, oltre 72 ore di diretta no-stop, dalle 22 di quel giovedì sera... A tranquillizzare la gente, a dare notizie utili, a coordinare i soccorsi, realizzando servizi e interviste in Friuli. Radio Sound diventò la voce del terremoto: da un lato tenevamo compagnia ai triestini, scossi e impauriti tra una scossa di assestamento e l'altra; dall'altro cercavamo di coordinare la macchina della solidarietà e dei soccorsi verso il Friuli...».
Per diversi anni dopo quel 1976, Radio Sound a Trieste fu la radio per antonomasia. Nonostante il moltiplicarsi delle emittenti in città, come in tutta Italia. Sempre tanta musica, ma anche dirette giornalistiche senza bavagli, telecronache della Triestina e del basket, in un riuscito connubio fra musica, informazione, sport, intrattenimento. Fino all’84, quando la premiata ditta (che dalla prima sede di via Felice Venezian era passata in Corso Italia) chiuse baracca e burattini.
Molti giornalisti triestini oggi «intorno ai cinquant’anni» hanno cominciato da lì, da Radio Sound. Ma trent’anni dopo, cos’è rimasto? «Ripenso a quegli anni con affetto e nostalgia - dice Baldassi -, c'erano passione, preparazione, in quel gruppo... Ma l'insegnamento delle cosiddette radio libere è servito a poco. Oggi la programmazione radiofonica è monocorde, i dj praticamente clonati, il livello medio scadente, con rare eccezioni. Qualcosa di quell'esperienza è stato fatto proprio solo dalle mille radio tematiche su Internet, ma il sogno, utopistico, di elevare i gusti musicali degli ascoltatori è rimasto tale...».
Angiolini: «Siamo stati bravi ma anche molto fortunati. Fortunati di essere un gruppo affiatato e capace, di aver avuto l'occasione per organizzare un’intera redazione radiofonica (eravamo decine tra redattori e collaboratori esterni), di aver visto nascere il fenomeno delle radio private. Fortunati di essere stati chiamati in blocco, dopo alcuni anni, a vivere una nuova appassionante avventura con la televisione. E credo di poter dire che abbiamo dato qualità nell'informazione e creatività nelle trasmissioni. Ripenso a quegli anni sempre con piacere. Per me Radio Sound è stata una grande scuola...».
Marzini: «Avevamo un mondo davanti a noi e lo affrontavamo con l'incoscienza dei vent'anni, con la voglia di fare, senza aspettarci chissà quale tornaconto. Il fatto stesso di lavorare senza percepire una lira. Io fra le tante cose avevo una rubrica che iniziava alle 6 del mattino, ”Giù dalle brande!”. La feci per mesi, ovviamente gratis. Quanti ragazzi oggi si prenderebbero un impegno del genere senza beccare un soldo? Noi accettammo. E oggi possiamo dire che per molti di noi fu una scommessa vincente».
«La palestra di quegli anni prima, della televisione privata poi - conclude Marzini -, ci è servita. Per certi versi possiamo considerarci anche fortunati: noi una chance l'abbiamo avuta. Certi ragazzi oggi forse non ce l'hanno nemmeno...».


La sera di martedì 28, gli ex ragazzi di Radio Sound festeggeranno il loro trentesimo anniversario al «Viale 39», il locale di viale XX Settembre gestito da Corrado Savio - uno dei quattro fondatori e per anni direttore dei programmi di Radio Sound - e precedentemente noto come «Macaki». Previsti ascolto di spezzoni di vecchi programmi, visione di vecchie documentazioni grafiche. E a mezzanotte il brindisi. A «come eravamo...».
Già, com’eravamo? Una gran voglia di radio - intesa come intrattenimento, musica e anche informazione non controllata - stava montando già alla fine degli anni Sessanta. Nel paese leader nei costumi, la Gran Bretagna, questa voglia era stata soddisfatta dalle cosiddette radio pirata (Radio Caroline, Radio Veronica) e così avveniva in altri paesi del Nord Europa. In Italia una prima risposta veniva data dalla stessa Rai, con trasmissioni come «Bandiera gialla», «Per voi giovani», «Alto gradimento», «Hit Parade», «Supersonic»...
Una seconda opportunità era rappresentata da due radio straniere che trasmettevano in lingua italiana, e che avevano iniziato una programmazione orientata ai giovani e alla musica, con un linguaggio dinamico e del tutto nuovo: Radio Montecarlo (che trasmette dal marzo del 1966 dal principato di Monaco) e la «nostra» Radio Capodistria. Radio che proponevano un nuovo stile di conduzione, vivace, spezzato nel ritmo. All'inizio degli anni Settanta si creavano insomma le condizioni per la radiofonia privata anche in Italia. Dove la sentenza della Corte Costituzionale del luglio ’76 interruppe il monopolio Rai ma lasciò comunque il settore senza regole.

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