domenica 26 marzo 2006

È nato nel 1969, l’anno di Woodstock e delle proteste contro la guerra nel Vietnam. Poco meno di quarant’anni dopo, il californiano Ben Harper è oggi uno di quei tanti americani schierati contro Bush, contro la guerra, convinto che «la musica può cambiare il mondo». Ne parla nel suo nuovo album, «Both sides of the gun» (Emi Virgin), un titolo che significa qualcosa come «le due facce del fucile». Un album doppio, con un cd più energico e rock, con testi impegnati, e l'altro più soft, riflessivo, poetico, ballad quasi interamente acustiche. Con rock, blues, soul, folk, rhythm’n’blues, funk e gospel che convivono in beata tranquillità e reciproca soddisfazione, proprio come dovrebbero fare - sembra voler suggerire l’artista - i popoli che abitano questo nostro pianeta.
Dice Ben Harper: «Non è necessario nascere sul Delta del Mississippi per poter interpretare in modo convincente il blues. La musica nasce nell'anima di un artista. L'ho capito negli ultimi due anni, quando ho vissuto una straordinaria avventura artistica insieme ai Blind Boys Of Alabama, che mi è valsa due Grammy Awards dei quali vado estremamente orgoglioso. Nella mia musica sono assolutamente percettibili le mie radici californiane...».
Il funk di un brano come «Black rain» somiglia a un vero atto d’accusa al governo Bush per l’inerzia usata nell’emergenza causata a New Orleans dal passaggio dell’uragano Katrina. «Li avete lasciati nuotare per salvarsi la vita, lì a New Orleans, ma non ci vorrà molto prima che la gente inondi le strade e vi destituisca...». «Gather ’round the stone» parla di «vecchi che mandano i giovani a morire invano...». Insomma, prese di posizione dure, non frequentissime nella musica americana contemporanea.
Fra gli altri brani: «Picture in a frame», «Happy everafter in your eyes» (dedicata alla moglie, l’attrice Laura Dern), «Better way», «Never leave me alone», oltre a quella che dà il titolo al disco.
Passiamo al nuovo lavoro di un signore che nel ’69, quando è nato Ben Harper, era già una superstar con i suoi Pink Floyd. Lui si chiama David Gilmour, e ha appena pubblicato «On a island» (Emi). Con il quale il cantante e chitarrista inglese dice di voler chiudere definitivamente con la band con cui ha scritto la storia del rock, dopo averla riportata in vita con i vecchi soci in occasione dell’ultimo «Live 8» del luglio scorso. «A sessant’anni - dice Gilmour - ho scoperto che lavorare per conto mio è assai più confortevole che continuare a essere un Pink Floyd: troppe pressioni, troppe attese, troppo gigantismo...».
Peccato che nella vita, quasi sempre, ognuno sa fare bene solo una cosa. E il disco dell’addio alla band suona più pinkfloydiano che mai. Con riferimenti espliciti alla produzione del gruppo sfornata a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, più che alla prima, geniale e forse irripetibile stagione.
Per il suo terzo lavoro solista, crepuscolare e sognante, Gilmour ha chiamato a raccolta uan banda di coetanei: Richard Wright, Phil Manzanera, Robert Wyatt, Georgie Fame, persino Crosby & Nash in «On a island», forse l’episodio più bello di un disco che ha un forte sapore di già sentito.


Quattro donne, un’inglese, un’americana e due italiane. La prima è la ventiseienne Corinne Bailey Rae, cui è bastato l’album di debutto, intitolato semplicemente col suo nome (Emi Virgin) - e preceduto soltanto da un minicd fatto girare fra gli addetti ai lavori - per essere salutata come il nuovo astro nascente della musica soul. La ragazza ha ventisei anni, è nata a Leeds, da padre immigrato dai Caraibi e madre inglese, e propone undici brani (fra cui il tormentone «Put your records on») che filano via ch’è un piacere. Voce calda e avvolgente, stile elegante, insomma, talento da vendere. Con la lezione di Billie Holiday ben assimilata, al pari di quella di Norah Jones.
A proposito. C’è proprio l’americana Norah Jones dietro «The Little Willies» (Emi Virgin), in cui dà libero sfogo alla sua insospettata natura countryblues. Col suo bassista e compagno di vita Lee Alexander e altri tre amici, la stella del «nu-jazz» rende omaggio a eroi del country come Willie Nelson («I gotta get drunk») e Fred Rose («Roly poly»), con rigore quasi filologico. Insomma, una sorta di divertimento in incognito, prima di tornare al suo «vero» lavoro.
E siamo alle italiane, entrambe passate per Sanremo. «L’altalena» (SonyBmg) è il disco di Nicky Nicolai, che con «Lei ha la notte» non ha ripetuto l’exploit dell’anno scorso. Il disco in compenso è un piccolo capolavoro di elenganza e buon gusto, in bilico fra jazz e canzone, con versi di Pasquale Panella, Jovanotti e persino del redivivo Renzo Zenobi, e con musiche di Nicola Piovani.
Ma la vera sorpresa è L’Aura con il suo «Okumuki» (dual disc, ovvero cd+dvd, EpicSonyBmg). Oltre all’«Irraggiungibile» portata al Festival fra i Giovani, una manciata di canzoni fresche, originali e al tempo stesso orecchiabili. Non a caso la ventunenne bresciana Laura Abena (questo il vero nome) è nelle classifiche di vendita e delle radio.


Bianca di pelle e bionda di capelli, ma con una voce nera che mette i brividi. Anche nel duetto con Eros Ramazzotti «I belong to you», ai vertici delle classifiche europee, sentito a Sanremo, presente sia nel disco di lui che nella raccolta di lei «Pieces of a dream». Ora esce il doppio dvd «Live at last», che comprende le riprese sul palco e nel backstage dell'ultimo grande tour della cantante americana, che ha toccato ben sedici Paesi con oltre 800 mila biglietti venduti. Un godibile documento filmato che racconta la vita «on the road» di Anastacia. E ne ripropone i successi: «Not that kind», «You’ll never be alone», «Sick and tired», «Left outside alone»...
Il film "Notte prima degli esami", ambientato nell’estate ’89, è la sorpresa italiana di questo inizio 2006. La colonna sonora è un doppio cd che ripropone una manciata di successi degli anni Ottanta. Si parte ovviamente dalla canzone di Venditti che ha ispirato il titolo e forse anche il film (e non è la prima volta che il cantautore romano viene «utilizzato» dal cinema...). Si prosegue con Queen, Duran Duran, Raf (la necessaria «Cosa resterà degli anni Ottanta?»), Cindy Lauper, Europe, Eurythmics («Sweet dreams»), Wham!, Clash. Ma anche Eros Ramazzotti, Vasco Rossi («Alba chiara»), Alberto Camerini, Donatella Rettore, Luis Miguel, persino il pessimo Claudio Cecchetto di «Gioca Jouer»...

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