domenica 2 aprile 2006

Quella di Ligabue è l’Italia vista da un mediano. Un mediano che fa molti gol, ma che importa. Passano gli anni, le canzoni, i dischi e i tour. Ma l’immagine che resterà sempre attaccata addosso al rocker di Correggio è sempre quella della «vita da mediano». Quello sempre «a recuperar palloni», quello «nato senza i piedi buoni», quello costretto a «lavorare sui polmoni...». Versi del ’99, sempre attuali in questa brutta Italia del 2006.
«Sì, in quella metafora mi riconosco ancora - dice Luciano Ligabue - per me stava a significare che ci vuole umiltà, che c’è sempre tanto lavoro dietro a ogni risultato. Ed era anche un modo per giustificare davanti a me stesso il successo che avevo ottenuto. Un po’ come dire: guardate che il successo non mi è caduto addosso dal cielo, ho faticato per ottenerlo...».
E quando anni fa Prodi l’ha usata come sigla, cos’ha pensato?
«Ho pensato: se c'è uno che tutto sommato gode della mia fiducia, come Prodi, e decide di dichiararsi così, che lo faccia... Poi, nel tempo, ci faccia vedere che terrà fede a quelle parole».
Lei è in tour durante una campagna elettorale decisamente tosta...
«Direi una brutta campagna elettorale, come non ne ricordavo. E nel Paese tira anche una brutta aria. Comunque, se non altro, con me nessuno farà la polemica toccata a Nanni Moretti, sull’opportunità di uscire adesso con il suo film. Io racconto da un palco la vita come la vedo io: la ”vita da caimano” lascio che la raccontino gli altri».
A settembre un megaconcerto, a Campovolo, con quattro palchi e quattro situazioni musicali diverse. Ora un tour diviso in quattro parti...
«Sì, prima i club, ora i palasport, poi gli stadi e in autunno i teatri. L’idea mi era venuta prima di Campovolo, ma risponde in effetti alla stessa logica. Il tour diviso in quattro sezioni è un modo di approfondire il discorso».
E anche di fare molti concerti...
"In effetti io amo molto suonare dal vivo, è la cosa che mi piace di più in questo lavoro. Ero rimasto fermo un sacco di tempo: basti pensare che in due anni e mezzo avevo fatto solo il concertone di Campovolo e, poche settimane prima, l’apparizione acustica al Live8».
Perchè questo bisogno di suonare tanto?
«Forse la volontà di mettermi sempre alla prova. Anche con questo tour strano, particolare, nel quale le canzoni sono le stesse, ma allestimenti, suoni e compagni di avventura cambiano. Col risultato di produrre una sana tensione, che mi tiene lontano dalla routine».
Un tour, quattro istantanee della stessa faccia?
«Forse quattro parti di me. Qualcuno ha detto che ogni artista, ogni persona che comunica, alla fine, fa sempre il proprio autoritratto. È un po’ come far vedere agli altri la propria anima, scattare una fotografia della propria anima e farla vedere a chi ti sta davanti».
Tornare nei club, quasi vent’anni dopo, che effetto le ha fatto?
«È vero, era il febbraio dell’87, quando feci il mio primo concerto, in un centro sociale di Correggio. E ho continuato a girare per club per più di tre anni, fino al successo del mio primo album, uscito nel ’90. Diciamo che è bello rivedere le facce della gente da vicino, non avere davanti una massa ma delle singole persone. Mi è piaciuto anche rivivere certe esperienze con i Clandestino, con cui l’intesa non si è mai interrotta...».
Strano: uno all’inizio sogna gli stadi, ma quando li raggiunge ama tornare nei club...
«C’è la possibilità di divertirsi in entrambe le situazioni, in tutti i diversi modi possibili. E oggi sono contento di poter scegliere, di potermi godere l’emozione di suonare in luoghi così diversi. Poi il successo è una cosa strana. Quando lo raggiungi ti accorgi che non è come te l’aspetti, l’equazione ”successo uguale felicità” non è vera...».
Dicono che il suo ultimo disco, «Nome e cognome», sia quello più personale, quello in cui si è messo a nudo...
«Dicono. Io penso che il mio modo di comunicare sia sempre diretto e personale. E penso che ciò sia un obbligo</CF> nei confronti di chi ci ascolta. Ognuno di noi è il risultato della vita, delle esperienze che ha avuto. Detto questo, è vero, molti mi hanno fatto notare che stavolta sono stato ancor più chiaro e diretto nel raccontarmi. Davvero, non so per quale motivo».
Anche a lei, come a Lou Reed e Wim Wenders, il rock ha salvato la vita?
«Non so se me l’ha salvata. Diciamo che le ha dato molto più senso, l’ha di certo migliorata, e non solo perchè faccio musica professionalmente. Mi piace pensare che è per quello che riesce a trasmettere, il rock a me, io alla gente attraverso il rock...».
Una volta ha detto: nelle persone c’è già tutto, il rock è un ottimo specchio. Ce la spiega?
«Volevo dire che nel rock, anzi, meglio: nelle canzoni c’è uno specchio che ti permette di guardarti dentro, di leggere qualcosa che hai dentro. Davanti allo specchio a volte ci fermiamo, altre volte no e tiriamo dritto. È quel che significa suonare qualcosa che hai dentro: ce l’hai lì, fa parte di te, è pronta per sbocciare, devi solo farla venir fuori».
E per farla venir fuori l’incipit, l’attacco è quasi sempre importante...
«Per me sì, molto. È importante entrare subito nel senso narrativo di una storia, di una canzone. Io scrivo tanto, molte cose le metto via e poi mi tornano fuori più avanti nel tempo. E allora accade qualche volte che alcune immagini mi tornano utili per partire nella maniera giusta, con l’entusiasmo giusto. Non a caso alcune mie canzoni, ”Certe notti” ma non solo, prendono il titolo proprio dalla prime parole del testo...».
Lei ha avuto successo a 30 anni, relativamente tardi...
«Sì, e ho sempre detto che è stata una grande fortuna, perchè se ce l’avessi fatta a vent’anni avrei perso la testa. Arrivarci più maturo, dopo aver fatto molti lavori e molte esperienze, mi ha permesso di partire con maggiore ironia e soprattutto autoironia, con il giusto distacco. La cosa peggiore è sempre prendersi troppo sul serio».
È vero che vuole fare un’opera rock?
«No, era una battuta in un’intervista che è stata amplificata facendoci il titolo. Diciamo che a volte con Domenico Procacci <CF31>(produttore dei due film di Ligabue - ndr)</CF> scherziamo sui progetti di là da venire. E considerato che io sono masochista, sempre pronto alle sfide più difficili, dopo aver scritto i libri e aver girato i film, viene sempre fuori questa storia dell’opera rock. È una battuta, o forse anche no, chissà...».
Più facile che arrivi il terzo film?
«Forse. Intanto ”Radiofreccia” è appena stato inserito fra i 14 film italiani scelti per l’archivio permanente del Moma di New York. La cosa mi ha fatto molto piacere, anche se mi sfugge cos’hanno capito gli americani di quel film, che è molto italiano...».
Sì, ma il terzo film...?
«Lo faccio solo se arriva un’idea forte, perchè io comunque faccio un altro lavoro, faccio musica. Però ho pensato che, dopo due film nei quali c’è dentro l’idea e anche la presenza della morte, mi piacerebbe raccontare una storia leggera, magari far ridere».
Magari con una commedia?
«Perchè no. È un genere molto italiano, che ci permette di raccontare come siamo fatti. Nel cinema italiano ci sono delle grandissime commedie».
È vero che lei si definisce «un credente non religioso»?
«È per dire che sento un bisogno spirituale, ma non sono religioso in senso classico, non sono cattolico, la mia spiritualità non è rappresentata dal bisogno di un dio. E guardo con preoccupazione a questo crescendo di attriti, a questo guardarsi di sbieco per colpa di diversi credi religiosi. Ogni integralismo è dannoso, è causa di conflitti...».
Visto che la terza parte del tour la porta a Udine (martedì 23 maggio allo Stadio Friuli), abbiamo speranze di rivederla a Trieste in autunno.
«Lo spero, anche se il calendario non è ancora definito. Per ora pensiamo a fare l’estate. Ma a Trieste tornerei davvero volentieri. Mi ricordo un concerto a San Giusto dal clima quasi magico. E poi quando siamo venuti a girare il video di ”Eri bellissima”: stavamo su una terrazza dalla quale si vedeva il mare, ricordo che c’era una luce davvero particolare, che ha regalato un tocco in più a quel video...».
Sa che anche Tornatore, che ha appena girato qui, ha parlato della «luce particolare» di Trieste?
«Beh, allora vuol dire che ho visto proprio giusto...».


L’appuntamento per il pubblico del Friuli Venezia Giulia è già fissato: Ligabue sarà infatti in concerto martedì 23 maggio allo Stadio Friuli di Udine. Le prevendite dei biglietti viaggiano già a buon ritmo, attraverso gli abituali canali.
Dopo una prima parte in sette club, cominciata il 7 febbraio all’Alcatraz di Milano, il «Nome e Cognome Tour/06» di Luciano Ligabue (organizzato e prodotto da Barley Arts e Friends & Partners) è ripartito domenica 26 marzo dal Mazdapalace di Genova e tocca sei palasport: dopo quello di Caserta, l’altra sera, sarà domani a Perugia, giovedì a Pesaro, l’8 aprile a Treviglio (Bergamo) e l’11 aprile a Torino. Dal 19 maggio, invece, Ligabue porterà lo show in tredici stadi. Il primo appuntamento è allo Stadio del Conero di Ancona, quella di Udine è la seconda tappa, seguono Milano, Firenze, Roma, Bologna, Padova (l’altra data triveneta, il 14 luglio), Salerno...
Il tour è caratterizzato da una particolarità: tre diverse tipologie di spettacoli, con tre diversi set animati da formazioni differenti. Nei club, infatti, Ligabue si è esibito con i ClanDestino (Max Cottafavi, Luciano Ghezzi, Gigi Cavalli Cocchi, Giovanni Marani), la sua storica band degli esordi, e il giovane chitarrista emiliano Niccolò Bossini; nei palasport sarà accompagnato da La Banda (Federico Poggipollini alla chitarra, Mel Previte alla chitarra, Robby Pellati alla batteria, Antonio Righetti al basso, Niccolò Bossini alla chitarra e Josè Fiorilli alle tastiere) e negli stadi si esibirà con entrambe le formazioni, ClanDestino e La Banda. È già prevista una ripresa autunnale, nei teatri.
Luciano Ligabue è nato nel 1960 a Correggio, Reggio Emilia. Il suo primo album è uscito nel 1990, intitolato «Ligabue». Seguono «Lambrusco coltelli rose & popcorn» (’91), «Sopravvissuti e sopravviventi» (’93), «A che ora è la fine del mondo» (’94), «Buon compleanno Elvis» (’95), «Su e giù da un palco» (’97, live), «Miss mondo» (’99), «Fuori come va?» (’02), «Giro d’Italia» (’03, live), «Nome e cognome» (’05). Ha girato come regista due film: «Radiofreccia» (’98) e «Da zero a dieci» (’02). È anche autore dei racconti «Fuori e dentro il borgo» (’97) e del romanzo «La neve se ne frega» (’04).
A Campovolo (Reggio Emilia), nel settembre scorso, per Ligabue c’erano 180 mila persone (162 mila paganti): record europeo di sempre, record mondiale per il 2005.

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