venerdì 10 settembre 2010

MLF A UDINE
Bianco e nero, con in mezzo le mille tonalità di grigio proprie della musica. E “Musica tra logos e mitos” è il titolo della conferenza spettacolo che Mario Luzzatto Fegiz terrà domani alle 21, a Udine, in piazza Matteotti (in caso di maltempo al Teatro San Giorgio), nell’ambito della rassegna ”Bianco e Nero 2010”. Una riflessione su mezzo secolo di musica popolare, proposta da uno dei massimi esperti italiani del settore. Con lui il chitarrista e cantante Roberto Santoro, regia di Giulio Nannini. Musica tra logos e mitos: cioè? «Nella musica - spiega Fegiz, triestino, classe 1947 - ci sono due forme di comunicazione: quella che si basa sulla parola e sulla dialettica tradizionale (logos) e quella che si basa sui segni, su elementi non verbali». Nella musica popolare e rock quale dei due aspetti è prevalente? «Senza dubbio il mitos, cioè il segno». Esempi? «B.B.King, Kiss, Ac/Dc, Bob Marley, lo stesso Ramazzotti sono mitos. Il blues di Robert Johnson, il rock’n’roll di Chuck Berry, i Police, gli Abba sono logos. Anche Elvis Presley era mitos, importante perchè mise in moto una rivoluzione nei corpi che avrebbe cambiato il mondo». La musica nera, la disco, il rap? «La musica nera è mitos, anche se i neri che giocano a fare i bianchi sono categoria a parte. La disco di Diana Ross è logos, la pop-dance di Madonna è mitos, il rap di Tupac è logos, quello di Eminem è mitos». Quanti concerti ha recensito? «Oltre tremila. Credo che il primo sia stato, circa quarant’anni fa, George Moustaki al Piper di Roma. Ma il primo grande concerto fu quello dei Jethro Tull al Teatro Brancaccio di Roma». E il primo Sanremo? «Quello lo ricordo perfettamente. Il primo che seguii per la Rai (Fegiz era una delle voci radiofoniche di ”Per voi giovani” - ndr) fu nel ’69, mentre per il Corriere fu quello del ’75, quando vinse Rosangela Scalabrino, in arte Gilda, con ”Ragazza del sud”. Era un festival autogestito dalla case discografiche minori. Una vera tristezza». La rockstar che l'ha colpita di più? «Mick Jagger, per la straordinaria lucidità e saggezza ma anche per la grande educazione, in netto contrasto con quel che è sul palco. Gli chiesi cosa pensava di Madonna, lui rispose: un bicchierino di talento in un mare di ambizioni. Geniale». Com'è cambiato il mercato discografico? «C'è stata una polverizzazione di generi, una iper-offerta su tutti i fronti. Le multinazionali abituate a guadagni facili hanno selezionato una classe dirigente debole e impreparata. Chi aveva qualità è emigrato verso la tv o il business dei concerti. Sono rimasti i peggiori. Ora è in corso un cambiamento epocale nelle forme del consumo. Alla fine la musica non morirà, ma produrrà meno miliardari di un tempo». Il pubblico? «È vario, curioso, ha i suoi canali di informazione. Risponde ancora ad alcuni richiami come Vasco, Ligabue, U2. Ma gente come i Gogol Bordello fa l'esaurito senza bisogno di stampa e pubblicità. E comunque gli artisti in grado di richiamare grandi masse sono sempre meno». Si diverte ancora ai concerti? «Mai negli stadi. Mi diverto quando vedo la follia creativa sul palco, come i citati Gogol Bordello. O quando assisto a collaborazioni come quella recente fra Riccardo Chailly e Stefano Bollani. Mi divertono i matti veri tipo Radiohead o Chemical Brothers, oppure i tradizionali come Pooh o Al Bano». Il rock ha ancora una carica rivoluzionaria? «Il rock aiuta le persone che non hanno un’identità a illudersi di averne una. Ma ogni rock è figlio del suo tempo. E questo non è tempo di rivoluzioni, almeno nel senso che abbiamo sempre dato a questo termine». Trieste le manca? «Mi manca l’anfiteatro naturale che si gode dal mare. Non mi manca quell’immobilismo che si respira un po’ ovunque. Ma comunque torno abbastanza spesso...».

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