mercoledì 6 aprile 2011

ORME


Accade in tanti matrimoni. E tocca anche alle band che hanno fatto la storia del pop italiano. Che cosa? Di non andare più d’accordo, di fare baruffa, di far volare gli stracci. E di finire davanti a un giudice per mettere le mani, non sulla casa o sull’affidamento dei figli, ma sul nome della ditta. E’ successo anche alle Orme, che domani sera tornano in concerto a Trieste, al Teatro Miela.

«Due anni fa - spiega Michi Dei Rossi, batterista e unico superstite della formazione originaria del gruppo -, al termine di un tour in Canada, il bassista Aldo Tagliapietra ha deciso di uscire dal gruppo. Io ho scelto invece di continuare, con il tastierista Michele Bon, che è con noi dal 1990, da quando cioè era uscito l’altro componente originario, Tony Pagliuca, e con gli altri nostri nuovi compagni».

Divorzio consensuale? Macchè. Tagliapietra chiede al giudice di inibire a Dei Rossi e compagni l’uso del nome Le Orme, registrato al cinquanta per cento fra i due. Ma la richiesta viene respinta. «E dunque noi continuiamo a chiamarci così - prosegue Dei Rossi -, mentre Tagliapietra ha formato un nuovo gruppo con Pagliuca e Tolo Marton (altro musicista veneto che ha fatto parte del gruppo - ndr). E fanno anche loro il repertorio delle Orme».

Come dire: due gruppi per rifare le stesse, storiche musiche. Ma uno solo dei quali con il diritto di usare il vecchio nome della ditta. Ditta, anzi, gruppo che era nato in Veneto alla fine degli anni Sessanta. Inizialmente avevano scelto di chiamarsi “Le Ombre”, in omaggio agli inglesi Shadows, ma poi cambiarono idea per evitare ironie e doppi sensi (“ombra” in veneto è il bicchiere di vino...).

Al Disco per l’estate del ’68 cantano “Senti l’estate che torna”. Ed è un successo. Ma il botto arriva nel ’71, all’alba del nascente pop italiano, con l’album “Collage”. «Sì, quel disco ci ha cambiato la vita - dice Dei Rossi -. Siamo passati dai garage dove facevamo le prove, nel nostro Veneto, ai palasport, ai teatri, ai grandi raduni all’aperto. A proposito di raduni, nell’estate del 1970 partimmo con il loro furgone per l’Isola di Wight, dove assistemmo all’ultima grande esibizione dal vivo di Jimi Hendrix, che poco dopo morì. C’erano anche i Doors con Jim Morrison, Who, Joni Mitchell, Miles Davis, Jethro Tull, Ten Years After, tanti altri. Fra i quali Emerson Lake & Palmer, di cui eravamo dei fan».

Al ritorno in Italia, fa capire l’artista, nulla fu più come prima. Se ne accorsero i giovani triestini, che nel febbraio ’72 affollarono il Dancing Paradiso di via Flavia per il primo di una lunga serie, in questi quarant’anni, di concerti delle Orme.

Ancora Dei Rossi: «Eravamo partiti con il vecchio beat nelle orecchie, tornammo ebbri di suoni, sensazioni, idee nuove. Insomma, eravamo pronti per gli anni Settanta e per il pop italiano. Il pubblico fu subito dalla nostra parte. Cominciava un decennio speciale, c’era un fermento che oggi non c’è più, noi che stavamo sul palco avevamo la stessa età del nostro pubblico, assieme eravamo protagonisti di una rivoluzione musicale e al tempo stesso culturale».

Oggi, invece? «Oggi queste cose non esistono. La globalizzazione ha avuto conseguenze positive ma anche negative. Fra queste, la completa standardizzazione dei prodotti, dei gusti, delle idee. A Marghera trovo le stesse cose che ci sono nelle città di mezzo mondo. Di positivo c’è solo il fatto che razze e culture si mischiano, alla faccia di chi predica la non tolleranza».

Dal vivo, domani a Trieste le Orme - che in questi anni hanno suonato in mezzo mondo - presentano il nuovo album “La via della seta”, senza dimenticare classici come “Felona e Sorona”, “Cemento armato”, “Gioco di bimba”, “Collage”. Aprono il concerto, organizzato dall’Associazione Musica Libera, i triestini Proteo.

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