domenica 16 giugno 2013

STEVE VAI ven 14-6 rossetti, trieste

Anche gli enfant prodige crescono. E a cinquantatre anni compiuti proprio pochi giorni fa, il chitarrista newyorkese di origini italiane Steven Siro Vai, universalmente noto come Steve Vai, fa parte a pieno titolo della miglior storia del rock. Aveva appena vent’anni, nell’80, quando debuttò nel gruppo di Frank Zappa, prima dell’esordio discografico da solista nell’84 con l’album “Flex-Able”. Trent’anni, quindici milioni di dischi venduti e mille avventure dopo, il chitarrista arriva stasera a Trieste, al Rossetti, per aprire il suo tour “Steve Vai & Evolution Tempo Orchestra”. In bilico fra rock e sinfonica. Mister Vai, com’è nata l’avventura con l’Evolution Tempo Orchestra con cui suona in questo tour? «Due anni fa mi era stato proposto di fare un paio di date con un’orchestra romena, l’orchestra sinfonica di stato di Bucarest. Tutti giovani e talentuosi musicisti. All’inizio ero un po’ prevenuto ma mi sono dovuto ricredere non appena abbiamo fatto la prima prova assieme». Mostri di bravura? «Più o meno. I concerti sono stati intensi e devo dire anche divertenti. Allora abbiamo deciso di replicare l’esperienza con un tour vero e proprio. È sempre dura con sessanta persone da portare a spasso, “on the road”, ma sta andando tutto benissimo». Un passo ulteriore verso la classica? «Forse. Il fatto è che il mio mondo ormai è sempre più la composizione. Che sia per un film o per un’orchestra, mi rendo conto che divento sempre più un compositore e sempre meno un chitarrista. E poi, diciamolo: non si può fare il rocker per sempre, per tutta la vita...» Però ora è in tour. «Certo, suono perchè questo è il mio mestiere. La gente vuole questo da me. Ma vedo il mio futuro sempre più nella direzione della scrittura, della composizione. E la prospettiva mi piace anche un sacco, è molto più attraente che suonare e basta». Ricorda il primo chitarrista che l’ha influenzata? «Sicuramente Jimi Hendrix, poi Al Di Meola, poi ancora Van Halen. Ma sono stato molto influenzato anche dal mio primo maestro di chitarra, quand’ero ragazzo a New York. Un certo Joe Satriani...». Con cui poi suonò nel G3. «Certo, fu una grande soddisfazione. Ormai il G3 è un circo che va avanti dal ’96, mi pare... Come dicevo Joe è stato il mio primo maestro di chitarra, oramai non ci diciamo neanche cosa dobbiamo fare, ci conosciamo così bene, e ci divertiamo un mondo. Di solito abbiamo anche le nostre famiglie dietro, quando suoniamo. Ormai è proprio come essere a casa». Lei ha esordito con Frank Zappa, cos’ha imparato da lui? «Tutto quello che so del business l’ho imparato dal grande Frank. Senza contare le piccole grandi lezioni di vita quotidiana che impartiva naturalmente. Del tipo: non fermarti mai, continua ad andare sempre avanti. O ancora: nella vita il segreto è quello di capire il potenziale e l’uso della parola “no”. Ma potrei andare avanti per pagine». Com’è nata nel 2007 la sua partecipazione a un disco di Eros Ramazzotti? «Nel mondo della musica, specialmente a Los Angeles, sono molte le connessioni con vari personaggi che ti prospettano di fare qualcosa di interessante. Anche nel caso di Eros andò così. Mi proposero di suonare in un suo brano, credo che fosse per un suo “Greatest hits album”». Come mai accettò? «Ho accettato alla condizione di poter rifare tutte le chitarre e riarrangiarle a modo mio. E così è successo. I soldi sono secondari alla mia libertà di espressione. In quella, come in altre occasioni, non avrei accettato l’offerta se non avessi avuto libertà assoluta». Conosce altri musicisti italiani? «Di origine italiana moltissimi, gli Stati Uniti sono pieni di musicisti figli o nipoti di italiani. Protagonisti attuali della scena pop rock italiana purtroppo non molti. Conosco bene Pino Palladino (bassista inglese di origine italiana - ndr), ho tanti amici nel mio management che sono italiani e mi parlano di nomi come Vasco Rossi o Zucchero, ma è tutto quel che so. Non posso dire di conoscerli». Lei stesso vanta radici italiane. «Certo, e devo dire che le ho sempre tenute molto care. Mio nonno era di Dorno, un paese vicino Milano. Mia madre della provincia di Parma. Recentemente gli abitanti di Dorno mi han fatto il grande onore di regalarmi la cittadinanza, durante il G3 con Satriani dell’anno scorso. E un grande artista futurista, Marco Lodola, mi ha dedicato una delle sue sculture: cose incredibile, al di là del tempo e dei confini...». Molte sue musiche sono state utilizzate in vari film. Che rapporto ha con il cinema? «Oddio, sono sicuramente un appassionato. Amo andare al cinema. Tanti anni fa mi è capitato anche di partecipare a un film, s’intitolava “Mississippi adventure”. Interpretavo il ruolo di un chitarrista ispirato dal demonio...». Quante chitarre ha? Ce n’è una preferita? «L’ultima volta che le contate erano duecento o poco più. La preferita rimane la mia Evo Ibanez, quella che ho sempre con me». Produce ancora miele? «Certo, è una mia passione che coltivo da anni. È affascinante capire l’intelligenza collettiva delle api, e come la natura si prende sempre cura di noi, in una continua evoluzione. Il miele è diventato davvero una mia passione, e più frequento gente italiana più mi accorgo che la raffinatezza del gusto è tipica del paese dei miei avi. Non a caso la mia ape regina più importante, è italiana...». Quando il nuovo disco, dopo il recente “The story of light”? «Ci sto pensando proprio in questi giorni, parlandone “on the road” con chi mi è più vicino. Ho messo da parte molto materiale. Credo che nel prossimo album vorrei esprimermi con qualcosa di semplice da una parte, complicato dall’altra, feroce quando serve. Arriverà presto...». Nel frattempo, rockettari di ieri e di oggi - anche da Slovenia e Croazia; biglietti ancora disponibili alle casse - convergeranno stasera su Trieste per questo concerto. Fra i brani in programma “For the love of God” e “Velorum”, “Whispering a prayer” e “The attitude song”, “Racing the world” e The murder” e la suite “Fire garden”...

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