venerdì 28 febbraio 2014

DISCHI, david crosby, croz

Okay, dateci pure degli inguaribili nostalgici (solo musicalmente...). Ma noi continuiamo a pensare e dunque scrivere che fra i grandi del passato e i presunti grandi di adesso non ci sia proprio partita. Tre a zero, palla al centro. E, badate bene, non pensiamo soltanto ai soliti celebratissimi Beatles e Bob Dylan, Stones e Pink Floyd, David Bowie e gli altri dell’olimpo. Anche musicisti che negli anni Sessanta e Settanta inseguivano da vicino le primissime posizioni facevano, e in certi casi continuano a realizzare, musiche e canzoni che le star di oggi se le sognano. Un mese fa scrivevamo di Neil Young, che - a quarantacinque anni dagli esordi con i Buffalo Springfield, e i trionfi subito dopo con Crosby Stills & Nash e da solista - continua a essere apprezzato da legioni di fan e a influenzare generazioni di musicisti. Ne parlavamo in occasione della pubblicazione di “Live at the cellar door”, album nuovo e vecchio al tempo stesso, visto che è una summa delle cose migliori registrate in sei concerti tenuti fra il novembre e il dicembre 1970 al Cellar Door di Georgetown, Washington Dc. Per una sorta di par condicio proiettata al passato, oggi vi proponiamo invece “Croz” (Blue Castle / Warner), nuovo album ma anche soprannome usato dagli amici di David Crosby, che quaranta e passa anni fa - dopo l’avventura nei Byrds - stava nel trio citato, che quando arrivò Neil Young divenne più che un quartetto una vera e propria superband. David Van Cortlandt Crosby, nato a Los Angeles, classe 1941, ha avuto una vita spericolata che al confronto Vasco Rossi sembra un chierichetto. Droghe, galera, un rischioso trapianto di fegato sono solo i titoli dei capitoli di una vita che ha conosciuto anche una fase, negli anni Ottanta, in cui il nostro girava con la pistola perchè temeva di finire come John Lennon. Per fortuna Crosby ha prodotto anche perle musicali purissime. Oltre agli album con i “suoi” gruppi, il capolavoro solista rimane “If I could only remember my name”, pubblicato nel ’71. Ora, vent’anni dopo quel “A thousand roads” che può essere derubricato al rango di opera minore, ecco questo nuovo lavoro che coniuga esperienza e freschezza. Il racconto del viaggio di tutta una vita, come ha detto lui stesso, ma anche un autoritratto intimo e onesto. Dalla stagione hippy agli anni dorati da rockstar, dalla caduta alla rinascita, dalla rinata vena creativa fino all’equilibrio ritrovato o forse trovato per la prima volta. Nel disco, realizzato con la collaborazione del figlio conosciuto solo da adulto, profumo di West coast. Melodie e suoni rilassati. Lui, il grande vecchio, ci scruta dalla copertina coi capelli bianchi e gli inconfondibili baffoni. E uno sguardo che emana saggezza.

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