venerdì 30 maggio 2014

BORGNA: SIAMO UN PAESE "SENZA SINISTRA"

Adesso tutti sul carro del vincitore Matteo Renzi, ma il Pd uscito trionfatore dalle Europee è ancora un partito di sinistra? Domanda che in questi mesi si sono fatti in molti, alcuni finendo per votare i democratici più “in chiave anti Grillo”, o alla solita insegna del meno peggio, che per intima convinzione. Sì, perchè quando nel 1989 Achille Occhetto chiuse la serranda del glorioso Partito Comunista Italiano, logica avrebbe voluto che si ponessero le basi per la creazione di un nuovo raggruppamento politico «non meno ma più di sinistra, non meno ma più radicalmente riformatore». Invece, dopo le tappe declinate (e declinanti) sotto le insegne di Pds e Ds, oggi il Pd griffato Renzi pare sia una formazione in cui «tutto è banale, scontato, uguale a se stesso». Un partito sostanzialmente centrista, che sembra ossessionato dall’idea di andare al governo, «senza nemmeno avere sempre ben chiaro per fare cosa». Analisi lucida e impietosa, quella lasciata ai posteri da Gianni Borgna nel suo ultimo libro, completato pochi giorni prima di morire, nel febbraio scorso, dopo una lunga malattia. Quando numeri come quelli incassati alle Europee dal Pd non erano nemmeno immaginabili. “Senza sinistra” (Castelvecchi, pagg. 120, euro 12) è un saggio breve ma di ampio respiro in cui l’ex assessore alla cultura delle giunte romane Rutelli e Veltroni (ma era stato anche segretario della Fgci di Roma, capogruppo Pci alla Regione Lazio, responsabile nazionale cultura e spettacolo e membro del comitato centrale del Pci/Pds, consigliere della Biennale di Venezia, presidente di Musica per Roma) racconta la sua preoccupazione per un mondo che gli appariva impoverito dalle logiche di mercato e sempre più distante da quegli ideali di equità, giustizia, partecipazione che avevano ispirato la sua esistenza e il suo impegno culturale prim’ancora che politico. Classe 1947, amico di Pasolini, Borgna ha attraversato tutta la storia della sinistra italiana dagli anni Sessanta a oggi. La “svolta della Bolognina” impressa al vecchio Pci in quel 1989 del crollo del Muro di Berlino e della stessa Unione Sovietica viene valutata positivamente nelle intenzioni ma negativamente negli effetti. Nel cambiare nome al più grande partito comunista d’Occidente, Occhetto voleva avviare la costruzione di una nuova formazione politica da un lato più innovativa sul versante delle istituzioni, dall’altro più aperta alle dinamiche di mutamento della società, alle culture diffuse e alle nuove forme di soggettività. Invece, secondo l’autore, da lì è partito il declino della sinistra. In un quadro nel quale hanno prevalso logiche di apparato e di occupazione del potere che hanno trasformato la Cosa postcomunista in un «partito di governo dal profilo essenzialmente moderato». Un’entità tanto subalterna all’ideologia dominante da fare di Palazzo Chigi - secondo la feroce battuta di Guido Rossi sul governo D’Alema - «una merchant bank dove non si parla inglese...».

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