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lunedì 19 maggio 2014
JOHNNY WINTER domani a Udine
È una delle ultime leggende del blues-rock. Il settantenne chitarrista texano Johnny Winter torna domani nel Friuli Venezia Giulia, per un concerto al “Nuovo” di Udine che è l’unico nel Nordest di questo suo breve tour italiano (le altre tappe a Roma e Milano), nell’ambito del tour mondiale cominciato a gennaio nel Kentucky.
Winter, due incontri, mezzo secolo fa, le hanno cambiato - e indirizzato - la vita...
«Sì, l’incontro con BB King nel 1962 fu incredibile. Avevo diciassette anni, andai in un club molto frequentato dalla gente di colore. Ho insistito a più riprese chiedendogli di poter suonare, fino a quando mi permise di farlo. Ricordo che suonai “Lucille” e il pubblico mi riservò una standing ovation. Ho ancora i brividi quando ci penso».
E l’incontro con Muddy Waters?
«L’ho incontrato quando la mia band ha aperto un suo concerto al Vulcan Gas Company. Dopo avermi sentito suonare mi disse che secondo lui ero uno dei migliori chitarristi che avesse mai visto. Successivamente, ho prodotto, suonato e vinto tre Grammy Award con lui. Sento molto la sua mancanza. Mi chiamava il suo “figlio adottivo”...».
Quand’era ragazzo quali erano gli altri suoi miti?
«Assolutamente Chuck Berry, Ray Charles, Robert Johnson. Ho cominciato a studiare la musica di Chet Atkins fin da giovane. Tutti dei grandi esempi per me».
Cosa ricorda di Woodstock?
«Ho volato su un elicottero. Era tarda notte. Stavo dormendo su un sacco di immondizia perché ero molto stanco, ed era l’unico posto dove ho potuto riposare un po’: sembra strano ma era comodo e fuori del mondo. Sono stato svegliato dal promotor, il quale mi chiese di andare avanti e suonare come tutta la mia band. Cinque minuti dopo ero sul palco davanti a centinaia di migliaia di persone. Sapevo che sarebbe stato uno spettacolo storico ed è andata proprio così. È stata un’esperienza assolutamente incredibile».
Quali sono le differenze che vede tra la scena musicale degli anni Settanta e la musica di oggi?
«Non sono la persona giusta per rispondere a questa domanda, il mio decennio preferito è quello degli anni Cinquanta, che è il miglior decennio di sempre per il blues».
Rispetto al passato, cosa significa oggi suonare blues?
«Suonare blues oggi per me significa divertirmi, così era un tempo e così è ancora. Sono un uomo che ha il blues nel sangue, sarà così fino al mio ultimo giorno».
Quali sono le differenze tra il pubblico americano e quello europeo?
«A mio modo di vedere il pubblico europeo guarda di più all’aspetto emotivo della musica rispetto agli americani: voi siete più interessati a ciò che la musica trasmette».
Come ha festeggiato, a febbraio, il suo settantesimo compleanno?
«Ho fatto uno show al “BB King”, a New York, con la mia band e un sacco di ospiti speciali, tra cui Joe Louis Walker, Debbie Davies, Popa Chubby e altri. Ho ricevuto una torta da parte del club ed è stato un grande momento: il fatto di stare su un palco con la mia band e i miei amici mi è sembrato un ottimo modo per festeggiare i settant’anni. E poi nello stesso periodo sono usciti il mio cd quadruplo “True to the blues” e il docufilm “Johnny Winter: down and dirty”. Insomma, ho tanti motivi per essere soddisfatto...».
Dopo questo tour?
«Non ho assolutamente voglia di fermarmi. Il nuovo album si intitola “Step back” (passo indietro - ndr) e sarà pronto per agosto. Collaboreranno musicisti e amici di assoluto livello come Eric Clapton, Brian Setzer, Joe Perry, Leslie West e molti altri. È un grande album e penso che i miei fan lo ameranno».
Dunque il seguito di “Roots” - l’album del 2011 che conteneva undici classici del blues eseguiti da Winter assieme a vecchi amici come Sonny Landreth, Vince Gill, Warren Haynes, John Popper e tanti altri -, inizialmente annunciato per il mese prossimo, slitta ad agosto e non si intitolerà “Roots 2”, come lo stesso chitarrista aveva lasciato intendere tempo fa. Di certo, visti lo stato di forma del nostro e il parterre di ospiti, sarà anche questo un grande disco. Che andrà ad aggiungersi a una discografia il cui primo capitolo è datato addirittura 1969, giusto quarantacinque anni fa: s’intitolava semplicemente “Johnny Winter”, era pubblicato dalla storica etichetta Columbia, e molti ricordano ancora la sensazione di star assistendo alla nascita di una leggenda. La leggenda di un chitarrista albino di nome Johnny Winter.
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