lunedì 19 maggio 2014

PAZIENZA, libro di Gabriella Caramore

C’era una volta il caporedattore di un giornale, che il pomeriggio dell’11 settembre 2001 si accorse a un certo punto di una strana animazione fra i suoi colleghi. Era un tipo flemmatico e continuò con il suo lavoro senza badare alle voci e ai volti via via sempre più preoccupati. Fino a che un collega gli si avvicinò e gli disse: «Guarda che hanno buttato giù le Torri gemelle...». Lui rispose serafico: «Pazienza...». Realtà o leggenda metropolitana, di quelle che girano anche nei giornali? Non si sa. Ma l’episodio ci è tornato in mente leggendo il libro di Gabriella Caramore intitolato per l’appunto “Pazienza” (il Mulino, pagg. 136, euro 12), appena presentato al Salone del libro di Torino. Viviamo il tempo della velocità, della fretta, dell’impazienza. E i risultati sono sotto gli occhi di chiunque li voglia vedere: superficialità, errori, stress, infelicità. Allora - suggerisce l’autrice, veneziana, classe 1945, conduttrice radiofonica e saggista - forse è arrivato il momento di rallentare se non addirittura fermarsi, fare una pausa, tornare a essere pazienti. Perchè «la pazienza reclama che il tempo ordinario sospenda il suo corso, smetta di fluire, entri in un vigile sonno. È capace di questo la nostra epoca convulsa, distratta, frettolosa, in cui ognuno di noi si sente spinto a fare presto, procedere spedito, agire in simultanea su fronti diversi, dare inizio a un procedimento senza attenderne l’esito? In cui troppa vastità di saperi rende difficoltoso il conoscere, il cui troppa facilità di connessione rende arduo l’incontro, in cui troppo mondo, affacciato sulle nostre vite, mette in affanno le relazioni?» Viene il sospetto - risponde Caramore - che «il nostro tempo sia radicalmente inospitale verso la pazienza. Forse neppure ne avvertiamo il bisogno. E forse, davvero, “pazienza” è parola inattuale, antica, in disarmo...». Eppure, la pazienza è tutto, come scriveva Rilke. Il libro va a pescare nel passato, dai Vangeli a Ulisse, dalla cosiddetta “pazienza di Giobbe” a Kafka, per supportare questa verità. Tutta la vicenda umana è un lento esercizio di pazienza, come quello dell’uomo per costruire, del bambino per crescere, degli amanti per incontrarsi, dei vecchi per morire, della natura per dare il frutto, della parola per prendere forma. La pazienza è sempre stata considerata una virtù, anche se in posizione defilata - quasi un completamento - rispetto a quelle classiche, come sapienza, giustizia, forza, temperanza, ma anche fede, speranza e amore. Oggi prevale la concitazione dei gesti, e nel rapido susseguirsi degli eventi, in questa nostra “età dell’impazienza”, la virtù ormai fuori moda potrebbe trasformarsi in filosofia, in modo di vivere, in qualità morale da chiamare “cura”. Una cura verso l’altro, verso le cose, in definitiva verso se stessi. Una cura che potrebbe ribaltare la scala dei valori e delle priorità del nostro vivere quotidiano.

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