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sabato 21 giugno 2014
PEARL JAM, still alive, volume arcana sui testi
«So che sono nato e so che morirò / Quel che c’è in mezzo è mio/ Io sono mio / E il sentimento che resta indietro / Tutta l'innocenza persa in un momento/ Quel che importa dietro agli occhi / Non c'è bisogno di nasconderci / Siamo al sicuro questa notte...».
Versi dal brano dei Pearl Jam “I am mine”, che fu il primo singolo estratto dall’album del 2002 “Riot act”. Da questi versi, citati in copertina, parte il libro “Pearl Jam. Still Alice. Testi Commentati” (Arcana, collana Txt, pagg 430, euro 19,50), di Simone Dotto, uscito proprio alla vigilia di questo breve tour italiano della band di Seattle.
Il volume ripercorre la storia del quintetto, dalle origini nei primi anni Novanta al trionfale ritorno del recente album “Lighting bolt”, attraverso i testi di Eddie Vedder, da sempre leader, voce e primo autore del gruppo.
Parole e versi intrisi di rabbia, dolori e delusioni della giovinezza. Ma riga dopo riga si colgono anche le ansie per un successo arrivato tutto sommato in fretta, all’inizio sfuggito e poi quasi accettato ma alle proprie condizioni. Spuntano anche quelle tentazioni eremitiche contro la vocazione politica di chi si ritrova, suo malgrado, a fare da megafono a un’intera generazione.
Da ultimo, una sorta di sindrome del sopravvissuto. Sì, perchè - secondo l’autore - più che i santoni del grunge, i Pearl Jam sono “quelli che non sono morti”, che hanno proseguito sulla stessa strada, lasciandosi alle spalle i compagni di strada tragicamente caduti (Kurt Cobain, il leader dei Nirvana suicida nel 1994, è soltanto uno dei fantasmi che abitano il canzoniere vedderiano: ne parliamo più diffusamente qui sotto).
Dunque inni alla vita ma anche amare riflessioni sulla morte. Due estremi che escono da un percorso sofferto ma coerente, che dicono molto del seguito planetario che la band di Seattle ha saputo conquistare in oltre un ventennio fra i giovani e meno giovani di mezzo mondo.
«Rileggere le liriche dei Pearl Jam - scrive Simone Dotto nell’introduzione - lungo un’avventura lunga ormai quasi venticinque anni serve soprattutto a rendersi conto che gli integralisti del punk e del “do it yourself” avevano ragione eppure avevano torto. Che l’autonomia è qualcosa che va guadagnata nel tempo: non una dote innata ma un percorso di crescita. E dimostra che sì, mantenere la propria indipendenza quando si diventa grandi si può, ma quel che è più difficile è diventare indipendenti senza rinunciare a ciò che ti rende grande».
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