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lunedì 16 febbraio 2015
SANREMO 2015, the last one... - E IL VOLO 11-7 A TRIESTE, in piazza unità
E adesso finalmente di Sanremo non sentiremo più parlare per un anno. Poi, a febbraio 2016, puntuale come una cartella Equitalia, il sedicente Festival della canzone italiana (lo ripetiamo da anni: trattasi di spettacolo televisivo, cantanti e canzoni sono un pretesto, peraltro di livello quasi sempre mediobasso...) monopolizzerà implacabile l’attenzione di mezza Italia. Di chi lo vede e di chi dice di non vederlo, di chi lo segue per criticarlo magari su Twitter, di chi ne scrive sui giornali, ne parla alla radio e in mille programmi televisivi.
Il successo di ascolti, non certo di qualità, di questa edizione nazionalpopolare affidata all’abile restauratore Carlo Conti (scontato il bis l’anno prossimo, anche se lui gigioneggia: farò il bis... chero) non fa che riaffermare la centralità mediatica di questa rassegna nata nel 1951, in un’altra Italia appena uscita dalla guerra, con tanta voglia di ricominciare a vivere e divertirsi, ma con pochi strumenti per farlo. Sono passati sessantaquattro anni e sessantacinque edizioni, ma pare piuttosto un’era geologica. Eppure, dopo una fase grigia coincisa con i complicati anni Settanta, quando nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza, oggi il festivalone è più vivo che mai. E promette di sopravvivere a tutti, punta alla perennità.
Nell’Italia di Renzi e Mattarella, qualcuno ha parlato di un “festival democristiano”. Un certo ecumenismo, la capacità di comprendere e anestetizzare tutto al proprio interno, persino “opposti estremismi” spettacolari (dalla reunion di Al Bano e Romina a Conchita Wurst), farebbero pensare che in fondo sì, è stato un festival all’insegna della vecchia Balena bianca. Del resto anche chi un tempo prevedeva e auspicava “Non moriremo democristiani” (da un titolo del Manifesto, 28 giugno 1983, copyright Luigi Pintor), dopo i guai peggiori vissuti nei trent’anni successivi, ha da tempo fatto in tempo a ricredersi.
Cantanti e canzoni. Come da pronostico della vigilia, hanno vinto i tre tenorini (in realtà due tenori e un baritono) de Il Volo. Lanciati sei anni fa dal talent show di Antonellona Clerici “Ti lascio una canzone”, i giovanissimi Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble hanno bruciato le tappe e sono diventati delle star planetarie, ambasciatori del bel canto all’italiana, sulle orme di Bocelli. Il loro “Grande amore”, costruito come un suggestivo melodramma, in un crescendo un po’ kitsch che comunque funziona, alla fine ha respinto gli attacchi della concorrenza e ha conquistato il gradino più alto del podio. L’11 luglio saranno in concerto a Trieste, in piazza Unità.
La piazza d’onore di Nek (che nell’unico vero momento di caos della serata finale sembrava scivolato al nono posto, ma era solo un errore...) premia un artista onesto, che ha sviluppato in questi anni un suo percorso di crescita. La sua “Fatti avanti amore” non è granchè, ma è un pezzo pop-dance che rimane subito in testa e già funziona nelle radio. Terza l’unica (assieme a Nina Zilli, finita a metà classifica) presenza di qualità di quest’anno: Malika Ayane con “Adesso e qui (nostalgico presente)”. Fra gli autori, lo stesso Giovanni Caccamo che ha trionfato fra i giovani.
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