martedì 14 giugno 2016

ERIC CLAPTON, I STILL DO

“I still do”, qualcosa come “Faccio ancora”, dunque “Sono ancora qui”... Sì,perchè passano gli anni, ma i maestri sono ancora qui. Anche in questo 2016 nel quale “le bombe cadono sempre più vicine”, per una generazione che ha scritto la storia del pop e del rock. Quelli che respingono l’attacco del destino, ogni tanto se ne vengono fuori con un album nuovo. A insegnare come si fa. Una manciata di nuovi brani, scritti bene e suonati meglio, che mettono rapidamente a tacere legioni di aspiranti star destinate al ruolo di meteore.
Prendete Eric Clapton, il leggendario “slowhand”, “manolenta”. Inglese del Surrey, classe 1945, una carriera cominciata giovanissimo con gli Yardbirds, con i Bluesbreakers di John Mayall, soprattutto con i Cream. In mezzo secolo ha fatto di tutto e di più. Molti alti e pochi bassi. Senza perdere l’occasione di diffondere ogni tanto la propria arte.
Ebbene, a due anni dall’album tributo all’amico J.J. Cale intitolato “The Breeze: An Appreciation of JJ Cale”, realizzato con la collaborazione fra gli altri di Mark Knopfler, Willie Nelson e Tom Petty, e un anno dopo l’uscita nelle sale del film musicale “Live at the Royal Albert Hall”, è arrivato questo “I still do” (Universal). Alcuni mesi fa, quando ne ha annunciato la pubblicazione, ha dichiarato a Billboard che, qualora questo dovesse essere il suo ultimo disco, potrebbe considerarsi un buon saluto. Subito dopo, a mo’ di rassicurazione per legioni di fan, ha aggiunto che comunque intende rimanere in giro ancora per un po’...
Vogliamo dirlo? Speriamo che lo faccia. Il disco è gradevole, godibile, impeccabile, in una parola bello. Forse sarebbe potuto uscire tale e quale dieci o vent’anni fa, ma questo lo consideriamo un merito: inutile infatti inseguire le mode, i gusti del tempo, la girandola delle classifiche, quando si può continuare a essere se stessi senza mai tradire qualità, eleganza, buon gusto.
Una manciata di brani - fra originali e cover, ballate e tributi a Robert Johnson e ancora a J.J. Cale - che rappresentano perfettamente l’artista Clapton, quello che è stato e quel che ancora è. Le sue dita danzano sulla tastiera della chitarra e ne fanno uscire quel suono liquido, quelle note lunghe (“slowhand”...) che sono da sempre il suo marchio di fabbrica.
Qualche titolo? “Alabama woman blues”, “Can’t let you do it”, “I will be there”, “I dreamed I saw St. Augustine” (Dylan del ’67), la classicissima “I’ll be seeing you”... Disco prodotto dall’esperto Glyn Johns. Con quel titolo, quasi una dichiarazione di immortalità. Non a caso nel ’66 nella metropolitana londinese apparve la celebre scritta “Clapton is God”. E aveva appena ventuno

Nessun commento:

Posta un commento