Album in bilico fra pop e canzone d'autore, fra cultura alta e popolare, con
citazioni letterarie e cinematografiche
BAUSTELLE, IL MIGLIOR ROCK ITALIANO IN UN «AMEN»
Il tour del gruppo di Montepulciano comincia venerdì 29 febbraio da
Pordenone
di Carlo Muscatello
Si chiamano Baustelle, vengono da Montepulciano e possono essere tranquillamente considerati come il gruppo più creativo, originale e stimolante della scena rock italiana. Lo si era già intuito tre anni fa, all'ascolto di «La malavita», il loro terzo album, che metteva ordine alle tante buone idee presenti nei primi due dischi («Sussidiario illustrato della giovinezza» del 2000, «La moda del lento» del 2003). Ora la conferma arriva da «Amen» (Warner), anticipato dal singolo «Charlie fa surf»: un album sontuoso, in bilico fra pop e canzone d'autore, fra cultura alta e popolare, fra cronaca e citazioni letterarie e cinematografiche, senza dimenticare qualche dichiarazione d'amore all'elettronica e alla new wave. Un disco vivo, che cattura l'ascoltatore al primo ascolto.
Si parte con la magia del pianoforte di Mulatu Astatke: «È così sia» sono venti secondi sospesi fra echi africani e reminiscenze jazz. Ma è solo l'avvio, il segnale convenuto. Tre, due, uno... le chitarre elettriche di «Colombo» fanno partire le danze. «Siamo architetti ricchi di Bel Air, e vecchie dive del noir, abbiamo ville, abbiamo cadillac, ed uccidiamo per soldi come te...». La voce di Francesco Bianconi (un po' Garbo, un po' persino De Andrè) si alterna a quella di Rachele Bastreghi, i cui occhi magnetici troneggiano in copertina (il terzo Baustelle è Claudio Brasini).
La metafora imperniata sul Tenente Colombo, che punisce i ricchi e cattivi, schiavi del potere e della violenza, lascia il posto a «Charlie fa surf» ( http://www.youtube.com/watch?v=g0JlEbgJf8o ). L'ispirazione nasce da un'installazione di Maurizio Cattelan, ma prim'ancora al vecchio «Apocalipse Now». «Vorrei morire a quest'età, vorrei star fermo mentre il mondo va, ho quindici anni. Programmo la mia drum machine e suono la chitarra elettrica: vi spacco il culo...». Manifesto di ribellione adolescenziale, contro famiglia, scuola, religione, istituzioni... Praticamente contro tutto.
«Il liberismo ha i giorni contati» vira su un'atmosfera onirica, almeno nelle prime battute. Anna ha sepolto sogni e ideali e ora spera solo nella catastrofe definitiva. Quella da porre a suggello del fallimento di una
società regolata soltanto dal denaro, dall'economia, dalle leggi del mercato.
«L'aeroplano» è la disillusione di chi ha cercato un senso all'esistenza; «Baudelaire» spiega che l'unico motivo per restare in vita è scrivere, affrontare la vita come fosse una poesia; «L.» è una canzone d'amore sospesa nello spazio («sui monitor: segnali di Laura dovunque...»). «Antropophagus» nasce dall'osservazione del piazzale della stazione centrale di Milano, in una domenica di sole. Un ghetto di extracomunitari (poveracci dell'Est, africani, ma anche barboni italiani) che mangiano i rifiuti dell'opulenta
società occidentale. Ma poi finiscono per mangiarsi l'uno con l'altro. Antropofagi, appunti.
«Panico!» è una «preghiera contro l'inquietudine», una preghiera per combattere il panico e abbandonarsi alla vita; «Alfredo» è l'agghiacciante, ultima, immaginaria confessione di Alfredino Rampi, il bambino morto nel pozzo di Vermicino nel, in diretta televisiva, a soli sei anni; «Dark room» ci porta in una discoteca, con una donna in cerca di incontri sessuali. Le scenario cambia con «L'uomo del secolo»: il '43, un nonno che era stato comunista e che un giorno disertò. «La vita va» e «Andarsene così»
concludono quello che finora (ma siamo solo a febbraio...) è il miglior disco italiano dell'anno.
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