SANREMO
Sanremo, si riparte. Per la sopravvivenza affidiamoci a Chiambretti, cui l’astuto ma immarcescibile Baudo (72 anni a giugno, tredicesimo Festival) dice di voler dare, bontà sua, più spazio. «Il Festival di quest'anno - ha detto il conduttore e direttore artistico - avrà due chiavi di racconto: quella mia tradizionale e quella di Chiambretti più eterodossa. Piero combinerà una serie di diavolerie per le quali ha chiesto aiuto anche alle scenografie di Gaetano Castelli e alle soluzioni sceniche del trasformista Arturo Brachetti. Insomma, se ci ritroveremo sotto il palco perchè crollerà tutto, sarà colpa sua».
Il folletto piemontese è dotato di una dose sufficiente di ironia e autoironia per neutralizzare la solita messa cantata baudesca. Rito vecchio, stantio, anacronistico, impresentabile già nei tempi: solo Baudo e i capi di Raiuno possono infatti pensare, nel mondo della televisione e dello spettacolo del 2008, di allestire e proporre una maratona che dovrebbe tener incollati davanti ai teleschermi per cinque serate - si parte oggi, si chiude sabato notte, saltando solo la serata di mercoledì - che minacciano di non finire mai prima di mezzanotte o l’una.
Soltanto un pubblico formato da coetanei del conduttore siculo può mettere in preventivo di passare una settimana intera davanti all’elettrodomestico favorito. Ma anche quel pubblico - oltre a subire il rischio appisolamento - è dotato di telecomando e sa che sono finiti i tempi in cui la concorrenza deponeva le armi nei giorni di Sanremo: quest’anno, come l’anno scorso, su Mediaset e altrove c’è una controprogrammazione in piena regola. Gli ascolti ne saranno fortemente condizionati: stasera, forse, benino, ma da domani il rischio si chiama caduta libera...
Poi ci sono i cantanti e le canzoni, teoricamente protagonisti del Festival. Da qualche anno, per sopravvivere, Sanremo ha smesso di essere un mondo a parte. Intendiamoci, i migliori qui di solito continuano a marcare visita. Oppure vengono a inizio carriera, o al massimo come ospiti. Ed è ancora raro che le canzoni e i dischi lanciati dal palco dell’Ariston siano fra le cose memorabili dell’annata canora di casa nostra.
Ciononostante, l’anno scorso è capitato che fra i sedicenti campioni vincesse una storia delicata che parlava di matti («Ti regalerò una rosa», Simone Cristicchi), che fra i giovani vincesse un invito quasi rap a reagire alla cultura mafiosa («Pensa», Fabrizio Moro), che fra i brani in gara ce ne fosse uno che parlava di mondo del lavoro e precarietà («Oltre il giardino», Fabio Concato). E che fra una lungaggine e l’altra sbucassero cose dignitose con Paolo Rossi, Amalia Grè, Daniele Silvestri, Antonella Ruggiero... Riuscendo nell’impresa di mettere assieme comunque un buon Festival.
Quest’anno l’impressione è che si tenti di continuare su quella strada. Che ci aspetti insomma un’altra macedonia canora in cui Baudo - con la commissione selezionatrice si cui è il deus ex machina - ha infilato più roba possibile. Nella speranza di accontentare tutti e con il rischio di scontentare ognuno.
Risultato: a Sanremo quest’anno si canta di licenziamenti di massa («Il rubacuori», Federico Zampaglione/Tiromancino), di amici gay («Il mio amico», Anna Tatangelo) e di amori al femminile («Ore ed ore», Valeria Vaglio, in gara fra i Giovani), di emigrazione meridionale di ieri e di oggi («Grande Sud», Eugenio Bennato), di politica e antipolitica («Rivoluzione», Frankie Hi-Nrg Mc), persino di Moro e di Berlinguer, di piazza Fontana e di Guido Rossa («Novecento», Valerio Sanzotta, in gara fra i Giovani).
Potremmo continuare, ma è meglio per ora fermarsi qui. E ascoltare le canzoni, che da anni tentano di ritrovare uno spazio in quello che dovrebbe essere il loro festival e invece è diventato soltanto un brutto show televisivo.
Come in ogni Sanremo che si rispetti, ci sono i favoriti. Non più le vittorie annunciate, come negli anni Ottanta e Novanta, ma almeno i favoriti sì. Gli scommettitori danno sul podio la Tatangelo, seguita da Mietta («Baciami adesso»), Giò Di Tonno con Lola Ponce («Colpo di fulmine»), Sergio Cammariere («L’amore non si spiega») e Zampaglione/Tiromancino. Un sondaggio fra 2.600 ragazzi fra i 12 e i 18 anni incorona invece i Finley («Ricordi»), seguiti da Tatangelo, Paolo Meneguzzi («Grande») e Fabrizio Moro («Eppure mi hai cambiato la vita»). Ma i ragazzi di solito non guardano, né votano per Sanremo...
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