SHEL / Shel Shapiro è nato a Londra nel ’43 e vive in Italia dal ’63, quando con i suoi Rokes (gruppo inglese attivo fra il ’61 e il ’70) capitò per caso nel nostro Paese. I quattro ragazzoni - oltre a Shel: Mike, Bob e Johnny - erano arrivati come gruppo del cantante Colin Hicks, che però si ammalò l’ultimo giorno della tournèe. Finì che sul palco ci andarono da soli, che Shel sostituì il cantante e che il successo fu immediato e travolgente. Seguirono un contratto discografico con la Rca e una sfilza di successi a 45 giri: da «Piangi con me» a «Bisogna saper perdere» (Sanremo ’67), da «Eccola di nuovo» a «E la pioggia che va», fino all’indimenticata «Che colpa abbiamo noi». Erano spesso cover di brani inglesi o americani, ma fecero dei Rokes uno dei gruppi protagonisti del beat italiano. Shel, come si diceva, è rimasto in Italia. Ha proseguito la sua carriera come autore, arrangiatore e produttore, lavorando fra gli altri con Mina, Patty Pravo, Gianni Morandi, Mia Martini, Enrico Ruggeri, Riccardo Cocciante... Ha realizzato anche alcuni album solisti. E dopo oltre quarant’anni parla ancora quel caratteristico italiano con accento inglese che fu il marchio di fabbrica vocale dei suoi Rokes.
Ora esce un suo nuovo album, intitolato «Acoustic Circus» (Promo Music/Egea), registrato dal vivo nel maggio scorso al Teatro Comunale di Modena. Il disco viene pubblicato in contemporanea col libro «Storie, sogni e rock’n roll» di Edmondo Berselli, con cui il musicista ha firmato anche lo spettacolo/concerto «Sarà una bella società», che ha debuttato l’estate scorsa al Mittelfest di Cividale.
Riascoltiamo in versione acustica vecchi successi («Che colpa abbiamo noi», «È la pioggia che va», «C’è una strana espressione nei tuoi occhi», «Bisogna saper perdere»...) assieme a nuove/vecchie canzoni. Come «Eldorado», che apre l’album; «Quante volte», scritta anni fa a quattro mani con Mia Martini; le cover di Bob Dylan «Master of war» (che in italiano diventa «L’uomo che sa», con ospite Fabio Treves all’armonica), dei Beatles «Eleaonor Rigby», di Cat Stevens «Wild world», dei Rem «Losing my religion». E poi c’è «Fiume Sand Creek», di Fabrizio De André, che in inglese diventa «River Sand Creek» («nasce un paio di anni fa - spiega Shel - dalla richiesta di Dori Ghezzi di adattare tre canzoni di Fabrizio in inglese per Patti Smith molto interessata alla sua musica...»). E anche «Per amore della musica», che dava il titolo a un album dell’87.
«Non è un’operazione nostalgia — dice ancora Shapiro — ma il ritorno indietro lungo un decennio che si sarebbe definito molto tempo dopo ”gli anni Sessanta”, quando i sognatori si sarebbero trovati ad accettare il posto in banca...».
Ascoltando canzoni vecchie e nuove, si ha la conferma del fatto che non si tratta di patetico revival. Anzi, sembra di respirare nuovamente, oggi come allora, l’urgenza del cambiamento, l’insurrezione contro il conformismo, contro le convenzioni, contro una società che è cambiata non ancora abbastanza e forse non nella direzione sperata.
Shel Shapiro «continua - come si legge in copertina - a sperimentare e cercare il presente nel dialogo con la Storia, quale manifestazione del contemporaneo». Un modo intelligente di ricordare musicalmente il demonizzato Sessantotto, giusto quarant’anni dopo.
POOH / Negli anni di Shel Shapiro e dei Rokes c’era il beat. E i Pooh erano uno dei tanti complessi - i gruppi si chiamavano così, allora - che sgomitavano in una scena vitalissima. Sono passati quarant’anni, la quasi totalità di quei complessi non c’è più, ma i vecchi Pooh sono ancora in campo. Trasformati in un’efficace azienda (disco, tour, nuovo disco, nuovo tour...) della musica leggera italiana.
Il loro nuovo album, «Beat ReGeneration» (Atlantic Warner), è un omaggio a quegli anni, a quei protagonisti, a quell’epoca. I quattro rileggono dodici canzoni del miglior beat italiano, rigenerandole. Erano quasi tutte cover di pezzi inglesi o americani, dunque i Pooh fanno... le cover delle cover. Ma l’operazione funziona, in certi casi addirittura meglio dell’originale. Si va da «È la pioggia che va» e «Che colpa abbiamo noi» (Rokes, ’66) a «La casa del sole» (Bisonti, ’65), da «Pugni chiusi» (Ribelli, ’67) a «Un ragazzo di strada» (Corvi, ’66), da «29 settembre» (Equipe 84, ’67) a «Eppur mi son scordato di te» (Formula 3, ’71), con alla fine un’incursione nell’allora nascente pop italiano: «Gioco di bimba» (Orme, ’72).
«Abbiamo voluto scegliere quei testi - spiegano i Pooh - che sono stati importanti per una generazione che cantava a una sola voce la stessa canzone. Era la generazione del cambiamento. Abbiamo scelto queste canzoni per affetto in mezzo a migliaia. Tanto è vero che questo è stato un disco difficile, o forse il più difficile dei Pooh, dato che ci sono voluti tre mesi di sala di incisione e molta preproduzione: era necessario capire come farlo, anche se l'idea c'era già da più di un anno e mezzo, alcuni singoli erano talmente perfetti che abbiamo deciso di non riproporli, saremmo caduti sul già fatto...».
Dal 29 marzo «Beat ReGeneration» è in tour. Partenza da Mantova. Il 2 aprile al PalaTrieste.
DALLA / Un doppio cd e un doppio dvd registrati a Bologna nel novembre scorso, durante una tappa del trionfale tour teatrale «Il contrario di me». Un tour che ha fatto registrare in oltre 40 teatri italiani il tutto esaurito e che, a detta di molti, ha portato in giro «il più bel concerto di Dalla e senza dubbio il più affacinante». Con lui: Ricky Portera e Bruno Mariani alle chitarre, Fabio Coppini alle tastiere, Roberto Costa al basso, Maurizio Dei Lazzaretti alla batteria, Gionata Colaprisca alla percussioni, la corista Iskra Menarini e l’attore Marco Alemanno che ha interpretato alcuni momenti di recitazione. Nel cd e nel dvd (regia: Ambrogio Lo Giudice), tutti i grandi classici del cantautore bolognese.
SPOT / Esistono musiche che sono diventate notissime grazie a uno spot pubblicitario. Ecco allora questa prima raccolta di musiche per la pubblicità realizzate da Ferdinando Arnò. Un disco che «trova il sound, l’accento che dà corpo a un’idea visiva, a un racconto - spiega l’autore –. La musica, infatti, può lavorare per empatia, per contrasto, per sottrazione, perché non esiste un brano perfetto, ma un’idea musicale che esalta l’impatto espressivo del commercial...». Al progetto hanno collaborato Malika Ayane (che canta anche il brano di apertura «Soul weaver», pubblicità della Saab), Jon Kenzie, Sandy Chambers, Luca Colombo e Marco Guerzoni
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