SANREMO 1
Toto Cutugno, Nino D’Angelo con Maria Nazionale, il trio Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici sono stati eliminati dal sessantesimo Sanremo. È questo il primo verdetto emesso dal Festival, che ieri sera è cominciato con venti minuti di cazzeggio allo stato puro, firmati dalla premiata ditta Paolo Bonolis e Luca Laurenti. Così, giusto per cominciare bene un Festival, la cui vigilia è vissuta come al solito di troppe chiacchiere. Sì, perchè a volte basta poco, per esempio la leggerezza di quei due grandi signori dello spettacolo, per regalare un sorriso a una grande platea televisiva.
Peccato che dopo i ”traghettatori” fra l’edizione dell’anno scorso e quella di quest’anno, si materializzi nel suo abito rosso ”alla Jessica Rabbit” Antonellona Clerici. Una che nelle settimane scorse - così ha raccontato alla stampa interessata all’argomento - è finita in ospedale a causa della sua smania di dimagrire e presentarsi in forma sul palco dell’Ariston. Pare sia passata dalla taglia quarantotto alla quarantadue, ma il ”traguardo” stava per costarle caro.
La signora è così. Inadeguata e irritante, a tratti persino imbarazzante. «La giuria si è espressa? Ma cos’è, una tromba o un trombone...?». Peggio di lei, ieri sera, nella prima serata del festivalone, solo alcuni cantanti. Già, i cantanti. Che poi Sanremo dovrebbe essere la loro festa, la festa delle canzoni italiane. Non ora, non qui.
Apre le danze Irene Grandi. ”La cometa di Halley” gliel’ha scritta Francesco Bianconi, dei Baustelle. Ed è una delle poche belle canzoni di quest’anno. A riportarci alla cruda realtà arriva Valerio Scanu, secondo ad ”Amici” dell’anno scorso, dietro la vincitrice Alessandra Amoroso (che lo raggiungerà venerdì, nella serata dedicata ai duetti). Canta con voce ben impostata ”Per tutte le volte che”, canzone che più sanremese non si può. Se questi sono le giovani promesse, siamo messi davvero bene.
Arriva Toto Cutugno, al quindicesimo Festival con una sfilza di secondi posti nei ruggenti anni Ottanta. ”Aeroplani” è tradizionale come il panettone a Natale, ma odora di naftalina come un maglione appena tolto dall’armadio. Allora meglio Arisa, sempre personaggio-fumetto anche dopo il cambio di occhiali e di look: la sua ”Malamorenò” strizza l’occhio al passato, e le ironiche tre coriste rimandano all’epoca del Trio Lescano, per un quadretto simpatico che funziona egregiamente. E meglio anche Nino D’Angelo, che con Maria Nazionale regala una ”Jammo jà” (unico brano in gara in dialetto, che sfrutta così la novità del regolamento di quest’anno) che mischia l’atmosfera dei vicoli partenopei alle suggestioni della world music mediterranea.
Ancora dall’universo dei talenti show ecco Marco Mengoni, fresco vincitore di ”X Factor”. Canta con enfasi festivaliera ”Credimi ancora”, e vi aggiunge nell’interpretazione un tono inquietante che regala originalità al prodotto finale. Dicono sia fra i favoriti per la vittoria finale, non foss’altro per la dote che si porta dietro dalla recente affermazione televisiva: al televoto, proprio come l’anno scorso, quando ha vinto Marco Carta (direttamente da ”Amici”), è affidata anche quest’anno buona parte del verdetto finale.
C’è tempo per le comparsate pallonare di Antonio Cassano (150 mila euro che potevano essere risparmiati...) ma soprattutto per la favola moderna du Susan Boyle, il brutto anattrocolo che la scommessa di un talent show inglese ha trasformato in pochi mesi in una star internazionale. Nonostante l’aspetto non gradevole e l’età avanzata (quarantanove anni il primo aprile) per una debuttante. La sua ”I dreamed a dream”, otto milioni di copie finora vendute in tutto il mondo, è stata salutata da una standing ovation del pubblico dell’Ariston.
Le cose peggiorano di molto, poco più tardi, con l’apparizione dell’impresentabile trio formato da Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici: ”Italia amore mio” vuol essere una dichiarazione d’amore al nostro Paese, ma finisce per essere una summa di banalità e luoghi comuni. Salutati da qualche fischio e da un tricolore sventolato in platea.
Ma in questa corsa al ribasso, nulla viene risparmiato. Arriva infatti la filippica retorica e moralista che la Clerici imbastisce per sfruttare ancora per un po’ la vicenda Morgan. Alla signora non è bastato gettarsi come uno sciacallo sulla vicenda fino a domenica sera, dichiarando che il cantante milanese - squalificato per aver dichiarato di usare la cocaina come antidepressivo, nonostante il successivo pentimento e la promessa ”non lo faccio più” in tutti i programmi televisivi disponibili - avrebbe comunque partecipato, in un modo o nell’altro, al Festival. Davanti alla smentita della Rai non ha fatto una grinza. A lei interessava solo ottenere qualche titolo di prima pagina in più, per tentare disperatamente di tener alta l’attenzione sul ”suo” Sanremo. Che squallore.
«Sono anni luce lontana dalla droga, l'unica droga che ho è la mia famiglia. Anzi, sono persino intollerante nei confronti di questo fenomeno soprattutto quando diventa moda», ha detto ieri sera la conduttrice. «La passione di Morgan è la musica: avrei voluto farvi ascoltare la sua canzone ma i vertici Rai non me l'hanno permesso...». E così la presenza annunciata si è ridotta a due frasi imbastite male e alla lettura di un verso della canzone, ”La sera”, che l’artista avrebbe dovuto presentare. Lettura coronata da questa frase agghiacciante: «Morgan, spero che tu e tutti quelli come te si possano ritrovare. Un abbraccio...».
Ma la serata è ancora lunga. E ci sono altri big in gara. Simone Cristicchi torna con ”Meno male” all’ironia degli esordi. Mischia con naturalezza cronaca e gossip, citazioni di Carla Bruni e ”Sarko-sì Sarko-no” (che forse hanno convinto la premiére dame a non tornare quest’anno nella città dei fiori...), in un pastiche sarcastico che in certi momenti rimanda alla vecchia ”Terra dei cachi” di Elio e le storie tese.
Altra classe con Malika Ayane. ”Ricomincio da qui” è un fascinoso quadretto esotico: forse la cosa migliore del Festival di quest’anno assieme al brano di Irene Grandi. Enrico Ruggeri scandaglia l’universo donna con ”La notte delle fate”, ma l’esercizio gli è riuscito assai meglio in altre circostanze.
Il resto sono i due fratellini veronesi Sonohra, che con ”Baby” offrono una ballata rock melodica; Povia che ha tolto ogni riferimento esplicito a Eluana Englaro dalla sua ”La verità”, che comunque rimane debole; Irene ”figlia di” Fornaciari che canta con i Nomadi ”Il mondo piange”; Noemi e la sua ”Per tutta la vita”; la rabbia di Fabrizio Moro con ”Non è una canzone”. I giovani, assieme alla prima graduatoria, arrivano dopo mezzanotte e mezzo. E dopo gli ammiccamenti sexy dell’artista ”burlesque” Dita Von Teese. Che ci azzecca con Sanremo? Nulla, ovviamente.
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