giovedì 25 febbraio 2010

SANREMO savoia


Secondo scippo ai danni di Casa Savoia a distanza di sessantaquattro anni? È possibile, analizzando quel che è successo sabato notte, nella mezz’ora precedente la proclamazione di Valerio Scanu quale vincitore del sessantesimo Festival di Sanremo. E leggendo i dati dei tabulati del televoto, che la Rai non voleva diffondere ma il quotidiano Avvenire ha pubblicato ieri in esclusiva.

Non sembri irriguardoso accostare l’esito del referendum fra monarchia e repubblica del 2 giugno 1946 al risultato della sessantesima edizione del più modesto festival di canzonette che dal 1951 - fra alti e bassi - catalizza, per pochi giorni all’anno, l’attenzione degli italiani. Ma ormai la nostra è la repubblica della televisione, dunque...

Premessa storica. Come si sa, il risultato del referendum istituzionale fu all’epoca molto contestato. Si votò il 2 e 3 giugno del ’46. Due giorni dopo, superata la metà dello spoglio, la monarchia si avviava a vincere largamente. Tanto che De Gasperi preannunciò a Umberto II una vittoria che nello spazio di mezza giornata si tramutò in sconfitta. Fra denunce di brogli e proteste dei monarchici, il risultato finale fu: 12.717.923 voti per la repubblica, 10.719.284 per la monarchia. Il 17 giugno l’ultimo re d’Italia (”il re di maggio”, che regnò per soli ventiquattro giorni) partì per il Portogallo. È l’esilio, poi costituzionalmente sancito, per lui e i discendenti maschi di Casa Savoia. Fino al marzo 2003.

Siamo all’altra notte. Contro ogni previsione della vigilia, la canzone ”Italia amore mio” arriva seconda al Festival. Una dichiarazione d’amore stucchevole e retorica scritta da Emanuele Filiberto (trentottenne nipote dell’ultimo re d’Italia, un passato di opinionista juventino da Fazio nel primo ”Quelli che il calcio” e di vincitore di ”Ballando con le stelle”) con Enzo Ghinazzi in arte Pupo (cantante di successo negli anni Ottanta, recentemente riciclatosi come conduttore televisivo), che la cantano assieme al tenore Luca Canonici.

I tre erano stati bersagliati da fischi e proteste del pubblico a ogni loro apparizione. Scatenando persino l’ormai famosa rivolta degli orchestrali, all’annuncio del loro ingresso fra i primi tre.

A mezzanotte e dieci in sala stampa si dava per certa la loro vittoria. Il primo responso ufficioso del televoto li dava in vantaggio di 200 mila voti su Scanu. Pare che a questo punto si sia diffuso il panico fra gli organizzatori, incapaci di gestire - in un teatro già reso incandescente dalla protesta dell’orchestra ma anche dal siparietto con Costanzo, Bersani e Scaiola - l’eventuale vittoria del contestatissimo trio.

Ecco allora che avviene il miracolo. Nel rush finale Pupo e il principe - che fino alle 23.12 erano in testa di 212.482 voti - incassano solo 1384 preferenze, mentre il giovane sardo di ”Amici” se ne accaparra 96.517. E nello spazio di pochi minuti passa in testa con ventimila voti di scarto.

Strano? Di più. A conferma dell’inaffidabilità e dell’estrema malleabilità di un metodo, quello del televoto, al quale Sanremo si affida da due anni sulla scia di altri programmi televisivi molto popolari.

A margine, un dato: per il Festival i televoti (non i televotanti, visto che ognuno poteva votare più volte: altra scorrettezza) sono stati 3.606.950, che a 0.75 euro cadauno fanno 2.705.212 euro. Una bella cifra e un bel business, quasi tutto dell’operatore telefonico.

E per concludere un’osservazione, fra serio e faceto: se broglio c’è stato, anche questa volta è stato a fin di bene. Come sessantaquattro anni fa ci ha evitato di tenerci ancora l’impresentabile monarchia compromessa con il fascismo, stavolta ha fatto sì che Sanremo venisse vinto da una canzone imbarazzante. Con versi tipo «Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente». Puro revisionismo istituzional canzonettaro. Della serie: le colpe dei padri - e dei nonni, ma soprattutto dei bisnonni - non devono ricadere sui figli. Nemmeno se fanno parte di Casa Savoia.

Che a Sanremo 2010 ha comunque scritto la pagina peggiore della sua storia dopo l’8 settembre. Scherziamo? Sì, ma fino a un certo punto.

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