domenica 21 febbraio 2010

SANREMO finale


Valerio Scanu ha vinto il sessantesimo Festival di Sanremo, davanti a Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici (bersagliati dai fischi e dalle vibrate proteste dell’orchestra e del pubblico in sala) e all’altra stella dei talent show Marco Mengoni. Il punto più basso toccato da Casa Savoia dopo l’8 settembre, come ha scritto qualcuno sul web.

Strano Paese, il nostro. Che s’innamora ancora dei principi e dove gli operai rimangono senza lavoro ma vanno in pellegrinaggio - con la benedizione del segretario del Pd, presente in platea - a Sanremo. È avvenuto ieri sera, nella serata finale del Festival, con una delegazione di tre operai degli stabilimenti che la Fiat vuol chiudere a Termini Imerese, intervistati pochi minuti prima di mezzanotte da Maurizio Costanzo, che torna così ufficialmente in Rai dopo ventisei anni di dorato esilio a Mediaset. Per loro, come per tanti altri in quest’Italia del 2010 in mano a una cricca di affaristi, lavoro probabilmente non c’è e non ci sarà. Ma vuoi mettere: sono saliti sul palco dell’Ariston.

Torniamo alle canzonette, che è meno peggio. Ieri sera finale con ripasso delle canzoni finaliste, vari spot per la Rai, fra cui uno in stile Bollywood per ”Tutti pazzi per amore 2” (e nel gruppone di Emilio Solfrizzi fa capolino anche la triestina Ariella Reggio) e uno coi ragazzi di ”Ti lascio una canzone”, l’omaggio a Michael Jackson, il musical sexy di Lorella Cuccarini, il soul di Mary J. Blige...

Tutti a celebrare il festivalone ”normale” di Antonellona Clerici. Che ha firmato un’edizione comunque di svolta, di cambiamento. L’alternativa era morire lentamente, davanti a un pubblico sempre più anziano e via via - di decesso in decesso - meno numeroso, o inventarsi una qualche scommessa per rivitalizzarsi.

L’intuizione dev’essersi insinuata nelle menti dei caporioni di Raiuno lo scorso anno, davanti al primo trionfo di ”Amici” (Mediaset) sul palco dell’Ariston, con la conduttrice Maria De Filippi che premiava Marco Carta, primo grazie al televoto ma fino a quel momento noto solo al popolo del talent show che aveva vinto l’anno precedente.

Meglio a questo punto, avranno pensato i cervelloni, puntare tutto sui ”talent” e sul televoto. Ecco allora che il vincitore di ”X Factor” da quest’anno partecipa di diritto al Festival. Ed entra Marco Mengoni. Poi la commissione seleziona - assieme a Valerio Scanu, finalista del penultimo ”Amici”, quello vinto da Alessandra Amoroso - anche la vincitrice morale della penultima edizione del ”talent” di Raidue (Noemi) e fra i giovani anche quel Tony Maiello che nella prima edizione dello stesso programma non aveva avuto fortuna, ma poi Mara Maionchi l’ha accolto sotto la sua ala protettiva e il ragazzo ha finito per vincere il girone Nuova Generazione.

A cucinare la pietanza è stata chiamata una che di piatti in tivù se ne intende: Antonellona Clerici, da Legnano, classe ’63, che dicono piaccia soprattutto alle donne per quella sua perenne e inoffensiva aria da casalinga non disperata ma vestita a festa, che arranca su tacchi troppo alti e stenta a contenere le grandi poppe in abiti imbarazzanti quasi come le interviste nelle quali si avventura con la regina di Giordania o quella del pop Jennifer Lopez. Al confronto delle quali - checchè ne dicano i suoi estimatori - la giunonica signora scompare per manifesta inadeguatezza, oltre che per classe, stile, bellezza e tante altre cose.

Bene. Anzi male. Sia come sia, fra giovani che diventano star in due mesi vincendo un talent show e giovani pronti a televotarli ovunque gareggino (a margine: un milione e rotti di voti a 0,75 euro per sms, fate voi il calcolo, comunque un bel business...), l’operazione di rivitalizzazione del malato terminale sembra riuscita. Anche se torna alla mente quella battuta del medico che dice con aria contrita ai parenti: l’operazione è andata benissimo, purtroppo il paziente è morto. Qui a essere defunto, senza possibilità di resurrezione, è il festival della canzone italiana.

Sanremo è infatti diventato il festival della televisione, della notorietà televisiva. Così si spiega anche il caso del trio messo su da Pupo con Emanuele Filiberto e il tenore Canonici. Non torniamo sulla canzone ruffiana e orrenda («tu non potevi ritornare, anche se non avevi fatto niente...» canta Pupo rivolto al giovane Savoia), che ha fatto rivalutare purtroppo solo post mortem l’”Italia” di Mino Reitano sbertucciata al Festival di ventidue anni fa. E non torniamo nemmeno sull’incredibile figuraccia cui è andato inspiegabilmente incontro Marcello Lippi (dopo il cui intervento il trio andava squalificato, a norma di un regolamento che vale per tutti o per nessuno). Diciamo solo che mettere assieme il brevilineo cantante toscano riciclato come conduttore televisivo e il nipote dell’ultimo re d’Italia, già ballerino in tivù, risponde solo a questa logica televisiva.

Problemi che ovviamente non sfiorano mamma Rai, che da giorni si frega le mani ed esulta per il successo di questa edizione, in termini di ascolti e di share. Tacendo dell’assoluta mancanza di controprogrammazione Mediaset nei giorni del Festival. A differenza degli anni passati, quando i programmi di punta della concorrenza non venivano sospesi com’è avvenuto quest’anno.

Consoliamoci con le poche cose buone viste e sentite in cinque serate, che hanno avuto almeno il pregio di essere meno lunghe delle edizioni precedenti, baudiane e non: l’esotismo multiculturale di Malika Ayane (scuderia Caterina Caselli, premio della critica), la classe straniata e surreale di Irene Grandi (canzone scritta dal leader dei Baustelle), il festoso urlo di riscatto meridionale di Nino D’Angelo. Ma soprattutto alcuni sprazzi di classe pura nella serata celebrativa dei sessant’anni del Festival: il duetto-capolavoro di Elisa e Fiorella Mannoia in ”Almeno tu nell’universo” (Sanremo ’89, con la mai abbastanza compianta Mia Martini), le emozioni autentiche regalata da Massimo Ranieri, l’eleganza di Carmen Consoli in una versione assolutamente contemporanea di ”Grazie dei fiori”.

Ops, ma qui stiamo parlando di musica, di canzoni, di interpreti. Argomenti che a Sanremo sono diventati da tempo secondari, quasi una scusa per occuparsi d’altro. Ripensandoci, una cosa giusta l’ha detta, il direttore di Raiuno Mauro Mazza: il Festival è tornato a somigliare all’Italia di oggi. Ma non è un complimento. Perchè non è un bel Festival, non è - fra un’intercettazione e l’altra, fra una ruberia e l’altra - una bella Italia. Malata di volgarità, cattivo gusto, illegalità.

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