martedì 7 dicembre 2010

MARIA LUISA BUSI

Nell'Italia in cui una poltrona non si molla neanche sotto le cannonate, Maria Luisa Busi è un’eccezione: sei mesi fa si è dimessa da conduttrice del Tg1 delle 20, «non condivedendo più la linea editoriale del telegiornale». Prendendo spunto da quell’episodio, ha scritto un libro: ”Brutte notizie - Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv” (Rizzoli, pagg. 269, euro 18).

Busi, qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?

«La contestazione che ho subito all’Aquila, quando sono andata a fare un servizio sul dopo terremoto. Dopo quasi vent’anni di conduzione, la gente mi identificava con il Tg1. Non erano pericolosi sovversivi. Ma uomini di mezza età con il cappotto e la sciarpa. Signore con la collana di perle. Donne e ragazzi. Tanti. Il nostro pubblico che contestava quello che era stato il ”suo” telegiornale».

Ma il Tg1 è sempre stato filogovernativo.

«Certo. Ho conosciuto per tre volte l’influenza del berlusconismo sul Tg1 fin dal ’94. Carlo Rossella, poi Clemente Mimun, oggi Augusto Minzolini. Negli anni la comunicazione politica è cambiata, in peggio. Il leaderismo ha preso lo spazio delle idee. Il maggioritario imperfetto che viviamo ha preteso cambi di rotta più drastici, strappi improvvisi. E il grande veliero che ha sempre saputo correggere la rotta - il Tg1 - senza perdere la bussola, stavolta ha subito un arrembaggio. Ne ha subito le conseguenze non solo l’informazione politica ma anche il racconto del paese».

Lei scrive che dopo le dimissioni tanta gente per strada le ha detto "grazie". Di che?

«Credo che per il pubblico sia stato il segno che c’è chi sa rinunciare a qualcosa per un principio. E la gente onesta ha bisogno di riflettersi in altra gente onesta, per riuscire ad andare avanti tra mille difficoltà, in un momento storico di grande disgregazione sociale, che la crisi economica fa sentire ancora più forte. La gente si sente sola, priva di rappresentanza, priva di riferimenti etici, priva di difesa».

Poi vede il Tg1 e...

«Le abbiamo raccontato che tutto va bene, che deve avere paura solo dello straniero, del diverso. Sono stati additati i responsabili, non sono state trovate soluzioni. Ma tanta gente a questo trucco non crede più. E ha capito che in un paese in cui l’immagine è tutto, una che rinuncia all’immagine perché dice basta con questa falsa rappresentazione è degna di rispetto».

Perché siamo arrivati a questo punto?

«Perché il nostro paese da 16 anni è condizionato dal conflitto d’interessi del capo del governo. Non l’unico, per carità. Ma il più pervasivo. Essere proprietari dell’immagine televisiva, avere le mani sull’informazione televisiva in un paese che legge poco e forma coscienza e consenso all’86 per cento attraverso i tg, dà a uno solo un potere immenso. L’informazione televisiva - ma anche la gran parte dei programmi - in questi anni ha raccontato agli italiani chi sono, come sono, di cosa avere paura. Il paese è stato diviso tra amici e nemici. Questo è il danno più grave».

Oggi il giornalismo è ancora - come scrive - l’unico mestiere che "coniuga creatività e impegno civile"?

«Lo è per me».

Lei racconta di un antico incontro con Berlusconi. Pensava sarebbe diventato il protagonista di 20 anni di storia del Paese?

«Era il ’92 e lui era "il nuovo" in ambito televisivo. Gianni Letta mi aveva parlato di ”un’offerta professionale”. Fu un incontro formativo, come racconto nel libro credo in modo divertente, quando mi definisce "un bel bocconcino". Ma non avevo intenzione di andare alla concorrenza. Credevo nel servizio pubblico, ci credo ancora».

Non mi ha risposto.

«No, non potevo intuire che sarebbe diventato il dominus della politica per 16 anni, al governo ma anche dall’opposizione. Certo è che un grande contributo alla sua ascesa e alla sua affermazione politica l’hanno dato le sue televisioni, plasmando quell’humus culturale che ha contribuito alla situazione in cui ci troviamo. Il populismo mediatico è questo».

Nel libro racconta storie di persone senza lavoro. Interessano alla tv italiana?

«Alla gente di sicuro. Sono le storie di chi ha perso il lavoro, di chi non lo trova, di chi non può fare un figlio perché non saprebbe come mantenerlo, di chi a 50 anni con il lavoro perde dignità, relazioni e posto nel mondo. Sono bottiglie al largo, e sono migliaia oggi le bottiglie al largo, nascoste tra i flussi delle sei, sette notizie a cui andiamo dietro da anni: dalla giustizia alle leggi ad personam, dal malcostume alle escort. Quelle bottiglie contengono messaggi che qualcuno deve raccogliere: la politica, ma anche l’informazione».

L’arrivo di Mentana a La7 ha riaperto i giochi dell’informazione tv?

«Sì, perchè c’è un’alternativa che prima non c’era. Un’alternativa credibile. Purtroppo per il Tg1, che perde ascolti anche per questo».

Striscia e le Iene hanno riempito un vuoto di informazione tv?

«Sì. E lo dico con rammarico».

Lei scrive che l’Italia non è un paese per giovani, né per donne. Ma che paese è l’Italia?

«Un paese sfiduciato, un po’ infelice, depresso. Un paese che sta perdendo le sue qualità migliori. Ha mai visto come la gente guida per strada? Come la gente si saluta poco e male? Come le persone siano mediamente più aggressive, più sospettose? C’è la sensazione diffusa, magari eccessiva, che non funzioni nulla, che non ci si possa fidare di nessuno, che non esista meritocrazia, che nessuno faccia più quel che deve fare».

Invece...

«Invece è un paese dove c’è tanta gente che fa fatica, che fa il proprio dovere, penso all’enorme fatica che facciamo noi donne. In un paese che celebra il ”family day” e per sostenere le famiglie non fa nulla. Un paese che non ha rispetto per le donne, che deve ritrovare speranza e rotta».

Il suo programma "Articolotre" è stato sospeso.

«In altri momenti gli sarebbe stato dato più tempo per crescere. Ma in una Raitre sotto costante pressione aziendale oggi questo non è possibile. Volevamo parlare di uguaglianza e diritti. Abbiamo pagato gli alti ascolti del programma concorrente, ”Quarto potere” su Retequattro, costruito sulle morbosità attorno all’omicidio di una ragazzina di 15 anni. Una televisione che non mi piace... ».

Nessun commento:

Posta un commento