martedì 26 luglio 2011

ALLEVI


«Il mondo della musica classica oggi è completamente proiettato verso il passato. Non tollera un uso contemporaneo delle forme classiche. Per questo sono stato oggetto di pesanti attacchi: perchè ho fatto crollare un castello. E l’idea che la cultura sia solo culto del passato».

Parole di Giovanni Allevi, che stasera alle 21.30 propone un concerto di piano solo a Trieste, al Castello di San Giusto (mentre il 7 agosto alle 14.30 sarà al Lago di Fusine, per No Borders Music Festival). Lui è quello che ha trasformato le sue esibizioni, in Italia e all’estero, in concerti rock. Quello che da ragazzo non esitò a travestirsi da cameriere per avvicinare Riccardo Muti alla cena di apertura della Scala per dargli un suo cd (poi ritrovato con gran delusione, a fine serata, dimenticato dal maestro su una sedia...). Quello che, dopo essere diventato una star, si è attirato gli strali di Uto Ughi, che in un’intervista ha definito lui “un nano” e le sue composizioni “musicalmente risibili”.

«Ma a me non interessa rispondere alle polemiche - dice il musicista, classe ’69, diploma in Conservatorio e laurea in filosofia - né difendermi dalle critiche che mi sono piovute addosso dal mondo accademico. Pochissimi mi hanno difeso, perchè ho avuto solo il torto di dire ancora una volta che il re è nudo».

Ci spieghi.

«Io sono un fan del presente, della contemporaneità. La nostra epoca ha necessità della sua musica classica, di un decentramento culturale. Invece assistiamo alle battaglie perse di questi tradizionalisti arroccati sul passato, che non sanno guardare in faccia e interpretare la realtà».

Lei, invece...

«Io credo nel nostro tempo. Voglio avere la libertà di usare le forme classiche inserendo contenuti presi a prestito dal mondo contemporaneo. Forme classiche e contenuti pop, insomma, perchè è sempre stato così: anche in passato Beethoven, Chopin, Bartok facevano ricorso a echi della tradizione popolare, rielaborandoli in architetture colte come la sinfonia, la sonata, la toccata».

Perchè gli attacchi?

«Forse perchè ho toccato piccole o grandi rendite di posizione. O perchè questi signori credono di avere la verità in tasca, e che non si possa mischiare passato e presente. O perchè secondo loro non si può fare...».

All’estero va meglio?

«Quasi ovunque la situazione è uguale. Anche se in paesi come la Cina e il Giappone, non esistendo una grande tradizione musicale, l’idea di vivere il presente anche attraverso la musica è accettata con maggiore facilità».

Perchè il nuovo album s’intitola “Alien”?

«Perchè è nato lontano dalle richieste del mercato, dalle esigenze discografiche. E vicino a tutte le persone che vogliono vedere oltre la realtà che ci raccontano, oltre quell’universo sconsiderato e infelice che sembra crollarci addosso. Solo con gli occhi della musica si riesce a svelare la realtà, a “vedere oltre”. Il mio è un disco carico di energia, di appassionata vitalità, denso e impetuoso com’è la vita che dobbiamo riprenderci».

E chi sono, oggi in Italia, gli alieni?

«Gli alieni siamo noi che con la nostra sensibilità cerchiamo lampi di poesia tra le pieghe dell’esistenza quotidiana. Rifiutando l’omologazione, affermiamo la nostra unicità, facendo della vita un’opera d’arte. Ma sono anche tutti quelli che incontro dopo i miei concerti e hanno la vivacità negli occhi. Quelli che sanno mantenere l’incanto, la passione, lo stupore, la capacità di lasciarsi andare alla poesia».

Sul fronte opposto?

«Chi ragiona per pregiudizi, chi ha una visione catastrofica del mondo e della vita, chi sottovaluta la forza della passione. La passione che ci serve per guardare all’essenza delle cose, per imparare a riconoscere chi ci è intorno come qualcuno di speciale, per imparare a osservare il mondo senza dare nulla per scontato».

I giovani?

«Hanno la mente più sgombra. Sono affascinati dall’incontro fra forme classiche e contenuti più vicini alla loro sensibilità, al loro vissuto, alle loro storie. La mia scommessa è stata quella di proporre loro musica classica contemporanea. E loro hanno risposto positivamente».

E a loro cosa consiglia?

«Di seguire sempre e comunque i propri sogni, senza pensare di dover ottenere a tutti i costi chissà cosa. La bellezza sta nell’essere in cammino verso la realizzazione dei propri sogni. Ai miei concerti incontro spesso tanti giovani che sono più sognatori e idealisti di quanto non lo fossi io alla loro età».

Come le ha cambiato la vita il successo?

«Molto e in meglio. Ma a me il successo in quanto tale interessa fino a un certo punto. Per me è sempre stato importante scrivere musica. Rimane un fatto per tanti versi misterioso se questa mia musica, nel suo percorso, a un certo punto incontra l’interesse e il favore di uno spettatore. I concerti, le tournè sono importanti. Ma io resto legato soprattutto al momento creativo del fatto musicale».

Dicono che abbia contribuito persino al “rilancio” del pianoforte.

«Prima di me, anche Ludovico Einaudi ha riportato l’attenzione su questo strumento, che è tornato a essere molto richiesto nei corsi al Conservatorio. A me piace ricordare di aver in qualche modo rilanciato anche l’accoppiata fra pianofore e orchestra sinfonica. Da questo punto di vista, non dimenticherò mai il concerto che ho tenuto il primo settembre di due anni fa all’Arena di Verona...».

Dunque la rivedremo presto con l’orchestra?

«Certo, sicuramente dal vivo e forse anche nel prossimo disco. Non so ancora quando arriverà, anche perchè io non ragiono in termini di “obblighi discografici”. Prima conta quello che scrivo, il resto può aspettare. Amo scrivere e suonare in totale libertà. Non sopporto di dover fare un concerto uguale al disco. E non mi sento vincolato dall’idea di dover piacere a tutti e a tutti i costi, nè di dover rispondere alle aspettative della critica».

Questo tour è partito dalla California.

«Sì, sono stati concerti molto belli. Dopo questi concerti estivi in Italia, suonerò in altri paesi europei ma entro fine anno tengo molto al mio ritorno in Giappone. Le tappe del tour in quello splendido e sfortunato paese sono state rinviate a causa della tragedia del terremoto, ma non vedo l’ora di tornare laggiù. Dove c’è molta attenzione per la musica classica contemporanea».

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