giovedì 28 luglio 2011

LUIGI MAIERON


Vive fra i monti e le valli della sua Carnia. Dice che non potrebbe stare altrove. Di certo non in città. «La natura per me è importantissima, il silenzio è fondamentale: solo quando sei circondato da boschi e montagne percepisci fino in fondo l’alternarsi della stagioni...».

Si chiama Luigi Maieron, lavora nella cancelleria del tribunale di Tolmezzo («ma ho lavorato anche nei tribunali di Gemona, Pontebba e per un anno, nel ’79, al Tribunale dei minori di Trieste»), ma la sua passione è la musica. Ha appena pubblicato “Vino tabacco cielo” (Universal), il suo quarto album: il primo distribuito e promosso a livello nazionale.

Gigi fa musica da sempre. «Ho debuttato a undici anni, con mia madre fisarmonicista e mio nonno contrabbassista. Famiglia di musicisti. Allora, negli anni Cinquanta e Sessanta, si suonava dappertutto, nelle case, alle feste, dove capitava. Mio nonno era il classico vecchio musicante che girava per i paesini della Carnia, mia mamma - che mi ha avuto a quindici anni - era abbastanza nota in zona, la chiamavano Cecilia Folk. Con lei ho suonato per tanti anni. Coi Fogolars Furlans siamo anche andati un po’ in giro per l’Europa».

Da ragazzo ascolta i complessi beat, poi scopre i cantautori e il rock. Il suo primo album esce nel ’98, quando ha già passato i quaranta. «Perchè credo che far musica - spiega - non significhi necessariamente cercare i titoli sui giornali. Ho sempre avuto una gran passione ma un altrettanto grande pudore. Scrivevo le mie canzoni ma non mi sentivo pronto, non mi sembravano all’altezza di essere pubblicate. La canzone è come una grappa, va distillata bene, oltre alle frasi devi metterci anche i profumi, le assonanze. Nel ’96 ho preso la decisione, e ci ho messo due anni per ultimare il mio primo album, uscito solo a livello regionale».

Artigiano della musica, un giorno conosce Massimo Bubola («casualmente, nella redazione del Messaggero Veneto e poi a un suo concerto a Tarvisio...»), che ascolta le sue canzoni e decide di produrre il suo secondo disco. Siamo nel 2002, la Carnia è sempre casa ma comincia a star stretta, musicalmente parlando. Arrivano le segnalazioni al Premio Tenco, quelle di Gianni Mura su Repubblica, le cose cominciano a mettersi in moto. Fino a questo nuovo album.

«Diciamo che voglio mantenere quella certa profondità che il cantaurato pretende, ma nel contempo salire un po’ più in superficie, per entrare in contatto con più gente. Finora era come una corsa a ostacoli: chi voleva sentire le mie canzoni doveva andarle a cercare, e non è detto che le trovasse. Ora, con questo disco, le cose potrebbero cambiare».

Senza però abbandonare le vecchie regole. «Continuo ad alternare le canzoni in friulano a quelle in italiano, anche se in questo album sono di più le seconde. Il mio non è friulanismo, cantare in dialetto per me non è chiusura. Amo tutta la mia regione e mi sento profondamente italiano. Recentemente è stato per me un grande onore cantare a Torino, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Uso la lingua della quotidianità, delle piccole cose, ma sono convinto che il mio friulano riesca a farsi ascoltare anche oltre i confini della nostra regione».

Se n’è accorto un altro grande “dialettale”, Davide Van De Sfroos, amico ed estimatore di Maieron. «Nel suo ultimo album, lanciato dalla partecipazione a Sanremo, mi ha chiamato per cantare un ritornello in friulano nel brano “Dove non basta il mare”: una canzone che parla di migrazioni, di abbandono della propria terra. E l’altra sera, nel suo concerto in piazza a Udine, mi ha voluto di nuovo sul palco con lui...».

Nessun commento:

Posta un commento