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sabato 23 luglio 2011
BATTIATO
Ventuno e quarantotto di ieri, serata fresca in piazza Unità. Franco Battiato ha l'aplomb di un professore universitario. E invece è anche una popstar. Come dimostra l'accoglienza che gli riservano i tremila davanti al palco.
Un concerto qui, dove qualche anno fa ha partecipato a una serata de "I nostri angeli", gli mancava. Sì, perchè in quasi quarant’anni di frequentazioni triestine il musicista siciliano ha suonato quasi dappertutto: nel vecchio manicomio di San Giovanni e al Rossetti, a San Giusto e nel defunto Stadio Grezar. Una volta persino in piazza Goldoni, alla partenza di una marcia antimilitarista organizzata dai radicali negli anni Settanta, con una rudimentale amplificazione formata da un paio di megafoni montati sul tetto di un’auto.
Altri tempi. E tutti momenti diversi di una carriera straordinaria, che lo ha imposto come uno degli artisti più intelligenti e originali della nostra scena.
Questo tour, partito la settimana scorsa da Roma, porta il titolo di un vecchio classico, “Up patriots to arms!”, che stava nel disco “Patriots”, del 1980. E il vecchio invito ad arruolarsi nell’esercito inglese letto su un muro di Manchester che aveva ispirato quel brano è sempre d’attualità, come esortazione a svegliarsi dal torpore, a scuotersi dall’apatia, a riprendere in mano - con armi metaforiche - i destini del paese.
Concerto abbastanza rock, aperto a sorpresa dalla brava Nathalie di "X Factor". Il sessantaseienne musicista siciliano stavolta lascia i tappeti nella residenza alle pendici dell’Etna e si presenta in scena in piedi, con band e quartetto d’archi.
La scaletta pesca nella produzione degli ultimi trent’anni, prediligendo i brani che lo soddisfano in questo periodo (“un distillato della mia musica”, ha detto), e dunque senza nessuna concessione a logiche di promozione discografica.
Oltre al brano che dà il titolo al tour e apre la serata, riascoltiamo classici e brani meno noti al grande pubblico: da “Auto da fè” a “No time no space”, da “Un’altra vita” a “Shock in my town” a “Gli uccelli" e "Segnali di vita”.
Ma la cifra civile e stilistica sta soprattutto in due canzoni. Vent’anni fa, alla vigilia di Mani pulite, Battiato cantò “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos'è il pudore...”. E ancora: “Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni, questo paese è devastato dal dolore”.
Oggi, in un periodo simile a quella stagione, il nostro non rinuncia al ruolo di pacato fustigatore del potere. E in "Inneres auge" canta: “Che male c'è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare servitori dello stato? Non ci siamo capiti: e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti? Che cosa possono le leggi dove regna soltanto il denaro? La giustizia non è altro che una pubblica merce...”. Applausi.
Scriviamo a concerto ancora in corso. Ma il programma prevede altri classici come “Prospettiva Nevsky” e “La cura”, “I treni di Tozeur” e “La stagione dell’amore”, “L’era del cinghiale bianco” e “Voglio vederti danzare”, “Summer on a solitary beach” e "E ti vengo a cercare". Tutte perle senza tempo, di una bellezza purissima. Quasi battiatesca.
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