domenica 16 settembre 2012

ISLAM IN FIAMME, il parere di Fouad Allam

«Dopo quello che è successo a Bengasi, nessuno può dire cosa accadrà nei prossimi giorni. Abbiamo però alcune certezze. I movimenti radicali approfittano di questo clima per creare una situazione ancor più frammentata. E le varie primavere arabe sono state un’occasione d’oro per ricalibrare i pesi all’interno di questi paesi». Khaled Fouad Allam, sociologo e politico algerino naturalizzato italiano, insegna Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste. A novembre pubblica per Marsilio il suo nuovo libro “Avere vent’anni a Tunisi e al Cairo”, un saggio nel quale dà la sua lettura delle rivoluzioni arabe. Il suo osservatorio sull’Islam in fiamme può essere considerato assolutamente privilegiato. «Negli ultimi mesi - spiega lo studioso, editorialista di “Repubblica” - è successo qualcosa di inedito, con l’entrata nelle istituzioni dei fratelli musulmani e di altri movimenti fondamentalisti. Ciò ha aperto un varco, mettendo a fuoco le contraddizioni, i contrasti con l’ala più radicale del movimento». Ma possibile sia bastato un film? «I fatti di Bengasi non vanno sottovalutati. L’Occidente si era fatto un’idea sua delle primavere arabe, ma sul terreno esistono temporalità diverse. Oggi da un lato c’è un Occidente secolarizzato, dall’altro un mondo musulmano che continua a non accettare certe cose, come per esempio la satira religiosa». La primavera araba ha creato un nuovo terreno di coltura per il terrorismo? «Certo, perchè ha portato innanzitutto instabilità. E il rischio è che tale instabilità diventi una condizione permanente, soprattutto in Libia, dove è più facile che i movimenti eversivi facciano proseliti». Possibile passare in poco tempo dai festeggiamenti ai “liberatori” all’assalto alle ambasciate? «I movimenti radicali approfittano del caos, per loro tutto diventa propaganda. E poi bisogna ricordare che la società civile araba è ancora molto diversa da quella occidentale. Loro escono da trent’anni di guerra, che li ha cambiati, ha cambiato il loro mondo. Si sentono incompresi dall’Occidente, qualunque situazione diventa un pretesto per infiammare folle impazzite. È in questo clima che s’innesca un processo di violenza politica». L’Italia deve rafforzare i propri sistemi di sicurezza? «Assolutamente sì, e non solo perchè le coste libiche sono a poche centinaia di miglia dalle nostre. E nemmeno per il timore che qualcuno possa arrivare qui. Il punto è un altro. Ormai il mondo islamico è dentro la nostra società. La storia del terrorismo lo ha dimostrato. Dunque la prevenzione è necessaria, anche perchè viviamo in un contesto di forte crisi economica». Al Qaeda minaccia di nuovo gli Stati Uniti. «Ho letto, dice che colpirà altre ambasciate. Io credo che il movimento non ha più l’impatto che aveva ai tempi della guerra nel Golfo o in Afghanistan. Ma rimane una matrice alla quale fare riferimento, e nel frattempo ristrutturarsi. È possibile anche che, in questa situazione di caos, altri agiscano in nome di Al Qaeda». Ma paesi arabi e Islam sono un binomio inscindibile? «André Malraux, scrittore e ministro della cultura con De Gaulle, nel suo romanzo “Antimémoires” dice a un certo punto, in modo profetico, che il XXI secolo sarà religioso o non sarà. Ovviamente bisogna definire che cosa è religione o no». Per lei? «L’alternativa - conclude Allam - è fra una religione chiusa in se stessa, usata come strumento ideologico, e chi accoglie la diversità religiosa, è aperto a chi non crede, rispetta i principi di uguaglianza e le donne, non pratica la censura. È questo, oggi, il grande dibattito nel mondo musulmano. Da ciò dipende il futuro dei rapporti fra Islam e Occidente».

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